Storica sentenza del Consiglio di Stato. Per la prima volta si stabilisce che nell’attività dei militari c’è un “rischio professionale specifico” rispetto alle esposizioni all’uranio impoverito in missione all’estero o nei poligoni. Nel caso di sviluppo di un tumore, andrà dunque considerato automatico il collegamento tra la malattia e la partecipazione alle missioni in cui si viene a contatto con l’uranio. Spetterà eventualmente all’amministrazione militare dimostrare il contrario, rovesciando l’onere della prova. In precedenza, erano le vittime a dover dimostrare il nesso causale tra la loro malattia e l’esposizione ad agenti patogeni.Nella nota del Consiglio di Stato si legge: “Con le sentenze nn. 12, 13, 14 e 15 del 2025, pubblicate in data odierna, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha chiarito che l’articolo 603 del codice dell’ordinamento militare, modificato con il decreto legge n. 228 del 2010, convertito nella legge n. 9 del 2011, ha disciplinato il rischio professionale specifico che caratterizza l’attività dei militari esposti ad uranio impoverito o a nanoparticelle di metalli pesanti in occasione del servizio prestato all’estero o presso i poligoni di tiro sul territorio nazionale ed ha conseguentemente previsto una presunzione relativa della sussistenza del nesso di causalità con la successiva insorgenza di malattie tumorali, superabile solo qualora l’Amministrazione dia la prova di una specifica genesi extra-lavorativa della patologia”.Il Sindacato unico dei militari (Sum) ha accolto con favore la decisione del Consiglio di Stato: “Questa pronuncia rappresenta una svolta epocale per la tutela della salute e della dignità dei militari italiani, troppo a lungo lasciati soli di fronte a malattie devastanti e a un sistema che negava il nesso causale tra servizio e patologia. Il principio di presunzione relativa sancito dal Consiglio di Stato ribalta finalmente l’onere della prova: sarà l’Amministrazione della Difesa a dover dimostrare l’eventuale origine extra-lavorativa della malattia”. “Una vittoria della verità, della giustizia e della memoria”, prosegue il sindacato, che definisce questa pronuncia “come un atto di giustizia verso i più di 400 militari deceduti e i circa 4000 ammalati, vittime silenziose di un sistema che per anni ha ignorato le evidenze scientifiche e le testimonianze dirette. È anche un tributo alla perseveranza delle famiglie, dei legali, dei sindacati e delle associazioni che hanno lottato instancabilmente per ottenere verità e riconoscimento”. “La sentenza – conclude il sindacato – riprende quanto sancito nel 2019 dal tavolo tecnico istituito dall’allora ministra Elisabetta Trenta, il cui documento finale era incentrato su questo principio fondamentale“.“Non avremmo avuto casi di contenzioso e la gente avrebbe avuto giustizia”, ripete il presidente del Sum, Antonello Arabia, che ricorda le Pdl presentate in Parlamento nelle precedenti legislature: “L’atto Camera 2224 presentato appunto da Del Monaco alla fine del tavolo tecnico in ambito Difesa, la Rizzo – atto camera 2508 – al tempo in cui era presidente della Commissione Difesa, e ancora la Cirielli, con atto camera 133, o la Serracchiani la 2345, mai arrivate a conclusioni concrete. Sono temi- aggiunge Arabia- sui quali abbiamo posto la nostra attenzione e che abbiamo richiamato in occasione della presentazione del libro di Sigfrido Ranucci, ‘La scelta’, nel maggio scorso a Bagheria. Questa decisione non è solo un risarcimento economico: è un riconoscimento morale, istituzionale e umano. È il segnale che lo Stato non può voltarsi dall’altra parte quando chi ha servito con onore e sacrificio paga con la propria salute”.L'articolo C’è un “nesso causale” tra l’esposizione all’uranio impoverito e i tumori che colpiscono i militari: la storica sentenza del Consiglio di Stato proviene da Il Fatto Quotidiano.