di Giuseppe Gagliano – Il 5 ottobre, mentre la Siria teneva le prime elezioni parlamentari dell’era post-Assad, violenti scontri hanno scosso la provincia di Aleppo, evidenziando quanto fragile sia la transizione. Le forze governative siriane e le Syrian Democratic Forces (SDF), guidate dai curdi dell’YPG, si sono affrontate a colpi di artiglieria e droni nei pressi di Deir Hafir. Le SDF hanno denunciato il ferimento di sette combattenti e l’attacco a zone civili “per diffondere il panico”, mentre Damasco ha ribaltato l’accusa parlando di provocazioni curde.Gli scontri non sono episodi isolati. Il conflitto latente tra Damasco e le SDF, che controllano gran parte del Nord-Est siriano, affonda le radici nello stallo politico sulla reintegrazione delle regioni autonome.Un accordo firmato a marzo per il ritorno dei territori sotto l’ombrello istituzionale di Damasco è rimasto lettera morta, alimentando reciproca sfiducia. L’episodio del 20 settembre a Um al-Tina, con sette civili uccisi da un bombardamento governativo, ha ulteriormente inasprito i rapporti.Le SDF accusano l’esercito siriano e milizie filogovernative di aver preso di mira la diga di Tishreen e i villaggi circostanti a sud di Kobane, minacciando vite civili e infrastrutture idriche cruciali. Contemporaneamente, le autorità di Aleppo hanno bloccato strade e checkpoint che collegano i quartieri curdi di Sheikh Maqsoud e Ashrafiyeh, isolando le comunità e ostacolando l’accesso a cibo e carburante.Sul fronte politico, le votazioni per l’Assemblea del Popolo (210 seggi) sono state criticate come poco rappresentative: un terzo dei membri sarà scelto direttamente dal presidente Ahmad al-Sharaa, mentre le province a maggioranza curda di Hasakah e Raqqa non hanno partecipato al voto, rimanendo escluse dal nuovo Parlamento.Le SDF hanno definito le elezioni un “teatro politico” e hanno accusato il governo di accentrare il potere, minando il fragile equilibrio costruito dopo la caduta di Assad.La riapertura del fronte con i curdi mina i già delicati equilibri interni: la Siria, pur formalmente uscita dall’era Assad, resta divisa tra centro e periferie e ancora attraversata da linee di frattura etniche, tribali e religiose.La ripresa delle ostilità compromette la sicurezza delle aree di frontiera e offre margini di manovra ai residui dell’ISIS e ad altri gruppi estremisti che sfruttano le zone grigie di governance. La fragilità del cessate-il-fuoco minaccia anche i corridoi logistici e umanitari nel Nord-Est.Gli scontri avvengono in un contesto in cui Turchia, Iran e Stati Uniti mantengono interessi diretti sul territorio siriano. Ankara osserva con preoccupazione ogni rafforzamento curdo lungo il confine; Teheran teme la perdita di influenza a favore di Damasco e Mosca; Washington, che ha storicamente sostenuto le SDF contro l’ISIS, rischia di veder compromesso il fragile equilibrio che ha permesso finora di mantenere una zona cuscinetto.La Siria post-Assad si trova di fronte al paradosso di un processo elettorale senza vera inclusione e a un apparato statale che fatica a imporsi su territori ancora divisi. Senza un accordo politico serio sulla decentralizzazione e sulle garanzie di sicurezza per i curdi, il Paese rischia di scivolare di nuovo verso un conflitto a bassa intensità che ostacola la ricostruzione e scoraggia gli investimenti internazionali.