Turchia. La nuova porta del gas europeo: come Ankara sta riscrivendo gli equilibri energetici tra Russia, Iran e Stati Uniti

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di Giuseppe Gagliano – C’è un passaggio silenzioso ma decisivo che sta avvenendo nello scacchiere energetico eurasiatico: la Turchia, tradizionalmente grande acquirente di gas russo e iraniano, si sta muovendo per ridurre drasticamente la propria dipendenza da Mosca e Teheran e, allo stesso tempo, per trasformarsi in hub di distribuzione per l’Europa. Un processo che potrebbe modificare in profondità gli equilibri di potere, le rotte del gas e i margini di manovra di Gazprom e National Iranian Gas Company.Secondo un’analisi di Reuters, entro il 2028 Ankara sarà in grado di soddisfare oltre la metà del proprio fabbisogno energetico con fonti interne e con forniture alternative, in particolare dagli Stati Uniti. Il messaggio è chiaro: il gas russo e iraniano non sarà più l’ossatura dell’energia turca.Il 25 settembre scorso, durante un incontro alla Casa Bianca, il presidente americano Donald Trump ha chiesto al presidente turco Recep Tayyip Erdoğan di ridurre gli acquisti di energia dalla Russia. Non è la prima volta che Washington esercita pressioni sui suoi alleati per isolare Mosca e Teheran, ma questa volta Ankara sembra aver colto l’occasione per capitalizzare la situazione.La Turchia non si limita a diversificare per obbedire alla NATO: lo fa perché ha un piano. Ridurre la quota di gas russo e iraniano destinandola al consumo interno e utilizzare la propria produzione e il gas liquefatto (GNL) statunitense e algerino per rifornire l’Europa. In questo modo, Ankara guadagna spazio strategico e capacità di influenza politica. Non più solo cliente: attore regionale.I numeri raccontano una trasformazione profonda. I contratti a lungo termine con la Russia, pari a 22 miliardi di metri cubi (bcm) all’anno, scadranno a breve. Quello da 10 bcm con l’Iran terminerà a metà 2026, mentre quelli con Azerbaigian resteranno in vigore fino al 2030 e 2033. BOTAS, la compagnia statale turca, intende rinegoziare da una posizione di forza: meno volumi, più flessibilità.Intanto TPAO, l’azienda statale turca per l’energia, sta aumentando la produzione nazionale, e gli investimenti nei terminali GNL consentiranno di ricevere oltre 26 bcm annui di gas liquefatto entro il 2028, a fronte dei 15 attuali. Con una domanda interna di circa 53 bcm, la Turchia potrà soddisfare internamente oltre la metà dei propri consumi, riducendo in modo netto la dipendenza dalle pipeline di Mosca e Teheran.Per sostenere questa svolta, Ankara ha già firmato accordi per 43 miliardi di dollari con fornitori statunitensi, tra cui un contratto ventennale con Mercuria. La capacità annua di importazione di GNL è ormai pari a 58 bcm: in teoria sufficiente per coprire l’intera domanda nazionale.Per Gazprom e per l’Iran, la Turchia è stata per decenni uno dei pochi mercati europei stabili e remunerativi. Ora questo pilastro vacilla. Non si tratta solo di una perdita commerciale, ma di un indebolimento geopolitico. Se Ankara riesce a sostituire gradualmente le forniture russe e iraniane con il GNL americano e la propria produzione, Mosca e Teheran si troveranno con una leva economica minore e con un’influenza ridotta su un attore chiave della regione.Secondo l’analista energetico Sohbet Karbuz, Ankara punta a usare il gas russo e iraniano per i consumi interni, esportando invece la propria produzione e riesportando GNL verso l’Europa. È una strategia che combina pragmatismo economico e calcolo geopolitico, trasformando la Turchia in un “cuscinetto energetico” tra Est e Ovest.L’Unione Europea non può ignorare questa dinamica. Se la Turchia riuscirà a diventare hub energetico, potrà esercitare una pressione significativa sui mercati continentali, diventando un attore strategico per la sicurezza energetica europea. Non a caso Ankara ha già firmato accordi per la fornitura di gas a Ungheria e Romania, due Paesi tradizionalmente sensibili alle dinamiche energetiche dell’Est.Washington, da parte sua, vede in questa svolta un’occasione d’oro: ridurre l’influenza russa sul mercato europeo e consolidare quella del gas americano. Una dinamica che rientra perfettamente nella strategia statunitense di lungo periodo per indebolire l’asse Mosca-Teheran.La quota russa sul mercato turco è già scesa dal 60% di vent’anni fa al 37% nella prima metà del 2025. Un calo strutturale, non episodico. Certo, Mosca mantiene ancora leve importanti: Rosatom sta costruendo la prima centrale nucleare turca, e la Russia resta il principale fornitore di petrolio e diesel del Paese. Ma Ankara sta dimostrando di poter ridurre la dipendenza senza rompere completamente i rapporti.Come ha spiegato l’analista Alexey Belogoryev, la Turchia potrebbe anche ridurre drasticamente le importazioni di gas russo tra due o tre anni, ma non lo farà in modo netto. Userà piuttosto la concorrenza tra fornitori per ottenere condizioni più vantaggiose.La mossa di Ankara ha almeno tre effetti strategici. Primo: indebolisce il potere di Mosca e Teheran sul fianco sud dell’Europa. Secondo: accresce la leva negoziale della Turchia nei confronti di Bruxelles e Washington. Terzo: apre la porta a una nuova architettura energetica europea che passa per Ankara e non più direttamente per la Russia.La guerra in Ucraina ha accelerato questa dinamica: con il progressivo embargo europeo sulle importazioni russe entro il 2028, la Turchia si candida a essere non solo un corridoio, ma un attore geopolitico a pieno titolo.In apparenza Ankara si limita a diversificare le proprie fonti. In realtà, sta costruendo una posizione di forza. Mosca cerca di mantenere il controllo, Washington spinge per scalzare la concorrenza e Bruxelles osserva con crescente dipendenza da chi, fino a ieri, era solo un “Paese di transito”.Nell’epoca della geopolitica del gas, la Turchia ha scelto di non essere più spettatrice. E il prezzo di questa scelta sarà pagato anche da Mosca e Teheran, che perdono uno degli ultimi grandi mercati europei su cui ancora potevano contare.