di Dario Rivolta * –Mentre sembra che un accordo tra Hamas e Israele sia stato raggiunto tra le parti, l’intero mondo sta tirando un sospiro di sollievo. La carneficina in atto a Gaza potrebbe essere definitivamente finita e tutto lascerebbe pensare che si possa aprire una nuova era per il Medio Oriente. Purtroppo le cose non sono così semplici come si vorrebbe far apparire. L’attenzione internazionale è stata comprensibilmente focalizzata sui tragici avvenimenti di Gaza, ma il problema dei rapporti tra israeliani e palestinesi è ben lontana dall’aver trovata una soluzione conclusiva. Trump ha tutto l’interesse ad annunciare come ha fatto nella conferenza stampa con Netanyahu che nell’area si aprirà una nuova situazione di pace ma, nonostante ognuno di noi lo auspichi, le difficoltà su quel cammino sono ancora tante ed è molto difficile intravedere un punto di arrivo sicuro, visto che le questioni più spinose restano irrisolte. Meglio poco che niente, dirà qualcuno, e certamente una pace a Gaza era indispensabile per poter pensare al futuro e dare sollievo alle popolazioni vittime di morti e distruzioni. Tuttavia, sarà davvero pace per lungo tempo?Cominciamo dai contenuti dell’accordo: Hamas restituirà gli ostaggi e in cambio gli israeliani libereranno più di un migliaio di prigionieri palestinesi. L’esercito di Israele comincerà il ritiro dalla Striscia e Hamas dovrà contemporaneamente disarmarsi completamente. Un futuro governo sarà “tecnocratico” e controllato da un’equipe coordinata dallo stesso Trump con l’aiuto di Blair. La sicurezza sarà garantita dagli USA, ma sarà gestita da una forza arabo-internazionale. In un futuro non precisato si terranno locali elezioni e saranno allora gli stessi palestinesi a gestire quel territorio. Vediamo come e perché si è arrivati a questa intesa condivisa da tutti gli Stati della zona.Le pressioni di Trump su Netanyahu erano diventate sempre più forti e, soprattutto dopo la fallita operazione del bombardamento israeliano a Doha, gli americani non potevano più permettersi una destabilizzazione ancora più grave dell’area medio-orientale. Da parte sua Hamas era devastata militarmente, sentiva crescere un’ostilità popolare nei confronti del suo comportamento ed era ormai evidente che anche il possesso di ostaggi non avrebbe portato Israele alla cessazione delle ostilità o a un compromesso. Nel frattempo, stavano aumentando le pressioni di Qatar, Egitto e Turchia sulla stessa Hamas affinché si andasse verso una qualche soluzione soprattutto per non rovinare i buoni rapporti che questi Stati vorrebbero mantenere con gli USA. Per Israele la continuazione del conflitto stava diventando un onere economico insostenibile, una delegittimazione mondiale sempre più diffusa e la popolazione israeliana maggiormente ostile al Governo e alla guerra. Senza contare che anche nell’IDF la contrarietà al proseguimento delle operazioni cresceva in modo evidente. Oltre a tutto ciò, accettando il patto Netanyahu avrebbe potuto durante le prossime elezioni vantare di aver raggiunto tutti (o quasi) i suoi obiettivi: Hamas disarmata e fuori da ogni futuro governo locale, ostaggi liberati, un Governo tecnocratico internazionale, una zona cuscinetto a Gaza, Hezbollah praticamente eliminata e armamento nucleare (ipotetico) dell’Iran fuori gioco. Inoltre le pressioni americane cui non era più possibile sottrarsi, davano al primo ministro la possibilità di giustificarsi con gli alleati estremisti nel suo governo per “dover” rinunciare a un’occupazione e ai futuri insediamenti ebraici nella Striscia.Ecco però nascere gli interrogativi e la possibilità che, pur avendo concordato le linee generali, si cominci ora a contrattare sugli aspetti applicativi.Hamas potrà impegnarsi a una qualche forma di disarmo, ma la sua ragion d’essere fondamentalmente integralista e anti israeliana, il suo permanente desiderio di influenzare il futuro di Gaza e la permanenza dell’IDF, seppur parziale e ufficialmente temporanea, daranno ai terroristi le scusanti per non rinunciare del tutto alle armi. Se così sarà anche l’IDF avrà un motivo in più per rallentare o rinunciare al ritiro delle truppe. Da parte dei governi arabi che dovrebbero prendersi carico della sicurezza ci potranno allora essere ragioni per non inviare i loro militari, almeno fino a che ogni forma di ostilità armata non sarà del tutto scongiurata nella Striscia. Di certo nessun Governo arabo vorrebbe trovare i propri soldati in mezzo a un fuoco incrociato se il conflitto dovesse riaprirsi.Il problema più grave rimane però quello del futuro Stato palestinese contro cui Netanyahu si è dichiarato apertamente. Se tale Stato non nascerà come realtà autonoma e indipendente il conflitto tra le due popolazioni, israeliana e palestinese, non sarà certo sopito e la tensione continuerà, ridando fiato agli estremisti di entrambe le parti. Ma quale Stato Palestinese sarà mai possibile vista l’attuale situazione? In Israele, anche chi vi era favorevole fino alla strage del 7 ottobre oggi non lo vuole più accettare perché teme che possa diventare un luogo di partenza per futuri terroristi e, pur contestando l’attuale maggioranza per tanti altri motivi, si trova d’accordo con Netanyahu nel non volerlo. Inoltre, gli insediamenti di coloni israeliani abusivi in Cisgiordania sono diventati così numerosi (e violenti) e si sono espansi a macchia di leopardo anche, e volutamente, per rendere quasi impossibile la costituzione di una qualunque organizzazione statale. Nel 2024 Israele si è appropriato di più terra in Cisgiordania che nei precedenti 20 anni messi insieme. Non si può dimenticare che dopo gli eventi del 2003 Trump non ha fatto nulla per impedire l’espansione degli insediamenti ebraici in Cisgiordania e, anzi, ha persino revocato le sanzioni che Biden aveva imposto contro la violenza dei coloni, di fatto legittimandole. Tutti gli osservatori sono ora convinti che la soluzione dei Due Stati sia praticamente impossibile, almeno nel breve periodo. Purtroppo, anche la soluzione di un unico Stato ove convivano con uguali diritti ebrei e arabi sembra fuori portata. Di là dalla reciproca sfiducia, un ostacolo non minore è la Legge Fondamentale (in Israele, come in Gran Bretagna, non esiste una Costituzione) votata nel 2018 dalla Knesset che definisce Israele quale Stato degli ebrei (“casa nazionale del popolo ebraico”) e quindi riduce chi non lo è a cittadino di serie B.Siamo ben lungi quindi dall’avere raggiunta la “pace definitiva” in Medio oriente che Trump aveva annunciato. Eppure la speranza è sempre l’ultima a morire e, almeno per ora, dobbiamo accontentarci di una tregua che consentirà per un qualche tempo che gli abitanti della Striscia non soffrano più la fame, che troveranno ancora una qualche possibile residenza stabile e che non dovranno, ce lo auguriamo, temere di essere seppelliti dalle bombe.* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.