Venezia 2025 – Duse di Pietro Marcello, crepuscolo di una diva e di un cinema che si è smarrito

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Pietro Marcello si è un po’ spento. Guardando Duse, in Concorso a Venezia 2025, il primigenio fulgore, l’impellenza nel fare il suo cinema a tutti i costi, sembra essersi arenato nel porto delle nebbie del sempiterno avvento del fascismo. Agguantata una Eleonora Duse terminale, quella che tenta di tornare sulle scene nel 1921, mentre l’architrave della politica italiana si sposta sull’asse delle camicie nere, Marcello opta per una atmosfera crepuscolare, armonizzata su toni minori, fantasmi di glorie passate, maschere ricoperte di biacca, fondali mortiferi tra Morte a Venezia e Anonimo Veneziano.Duse è il tentativo, a dire il vero balbettante e incompleto, di raccontare la caduta di un mito femminile e il suo ultimo tentativo di rivolta libertario. Minata da una tubercolosi inarrestabile e travolta dal dissolvimento del suo patrimonio bancario berlinese, la sessantenne Divina (qui Valeria Bruni Tedeschi al limite del caricaturale) cerca una nuova affermazione sul palco teatrale che l’ha vista regina mondiale. Il codazzo di assistenti, dottori, drammaturghi, poeti alle prime armi, figlia e nipotini distanziati, preme per la sua attenzione e per la sua salvaguardia.Pur con il mondo attorno che muta repentinamente, con la malattia che le mangia i polmoni, l’attrice si aggrappa alla possibilità di un nuovo teatro più urgente e contemporaneo (e si prende dei fischi), si propone pubblicamente come donna patriottica e nazionalista (ricevendo un vitalizio inatteso da un devoto Mussolini), si riavvicina a D’Annunzio (Fausto Russo Alesi) finendo da lui cacciato. Nulla in Duse si mostra in chiave arrembante e propositiva.Il cinema di Marcello si posiziona in una strana linea difensiva. Rifiuta l’ibridazione naturale tra stralci documentari e fiction (qui il found footage è prettamente di massa, di contorno sensazionalistico o su un perenne milite ignoto cadavere simbolico di un’Italia sconfitta) e rincorre una chiave narrativa biografica che non ha fuoco nelle vene, che tende a spegnersi in coda ad ogni sequenza. Poi è chiaro, la messa in scena, la composizione del quadro, il lavoro minuzioso di montaggio dimostra che Marcello ha stoffa come sempre da vendere. Ma in Duse l’oscurità esplorata e ricercata non si rianima, rimane come freddamente museale, addirittura smaccatamente satirica come nella sequenza che apre il film sulla teleferica verso le trincee dei fanti della prima guerra mondiale con sopra la Duse e l’agitata assistente devota Desirée von Wertheimstein (la notevole ed ambigua Fanni Wrochna). Terzo film italiano in Concorso con ben poche speranze di vittoria. Dal 18 settembre al cinema.L'articolo Venezia 2025 – Duse di Pietro Marcello, crepuscolo di una diva e di un cinema che si è smarrito proviene da Il Fatto Quotidiano.