di Daniela Binello – Quando qualche giorno fa ho letto il suo appello su “Il Manifesto”, grazie all’articolo di Michele Giorgio, mi si è stretto il cuore. Sami Abu Omar, 61 anni, palestinese di Gaza, è un personaggio molto conosciuto da noi giornalisti italiani che ci occupiamo a vari livelli di Medio Oriente. Sami, che ha fatto da fixer e interprete a tanti inviati, ha lavorato come cooperante per conto di diverse organizzazioni umanitarie. Aveva anche conosciuto Vittorio Arrigoni, l’attivista e scrittore assassinato nel 2011, dirigendo poi il Centro di scambio culturale Gaza-Italia, dedicato proprio ad Arrigoni. Dopo quel maledetto 7 ottobre del 2023, Sami si è messo a disposizione in particolare di Emergency e Acs per portare i soccorsi alla comunità di Gaza.Quando ero una giornalista della Rai conducevo un programma radiofonico settimanale che si chiamava “GeoParlamento” e, dopo l’ottobre del 2023, telefonavo spesso a Sami Abu Omar per farmi raccontare come evolveva la situazione a Gaza per gli sfollati. Qualche volta l’ho anche intervistato in diretta radiofonica, rubando i suoi minuti preziosi e consumando la sua carica della batteria del cellulare, che chissà poi come faceva a ricaricare in quelle terribili condizioni, mentre era riparato nella tendopoli di Khan Yunis, oppure mentre doveva spostarsi con tutta la sua famiglia, figli e nipoti, con le poche cose rimaste da salvare e da portarsi dietro, perché erano arrivati gli avvisi perentori dell’Idf che imponevano di sgomberare il campo profughi.Su e giù a piedi o con i pochi mezzi di fortuna sulle strade sabbiose della Striscia, sotto un sole e un caldo infernale che ti annebbia la vista, con la disperazione di non sapere dove e se si sarebbe trovato un nuovo riparo per non restare troppo a lungo per strada, stremati, affamati, assetati, disperati.Con il suo appello, veicolato da “Il Manifesto”, Sami Abu Omar chiede aiuto all’Italia, per andare via da Gaza e mettersi in salvo. “Non ce la facciamo più”, dice Sami Abu Omar, che spiega di essere stato costretto a sfollare per più di quindici volte con la sua famiglia. Tutti i suoi beni sono andati distrutti, sotto le bombe, la sua casa a Bani Suheila, circondata da un magnifico uliveto. Tutti i gazawi stanno vivendo la stessa drammatica condizione di Sami e la sua famiglia, solo che quando si conosce una persona si vorrebbe poter fare qualcosa di speciale. Non potevo, quindi, far cadere questo suo appello, sperando che lo legga qualche persona influente, in grado di aiutare qualche altro palestinese a salvarsi da quell’orrore.“Aiutatemi a uscire da questo inferno – chiede Sami Abu Omar -. Sono giunto a un bivio, devo scegliere fra la vita e la morte, devo salvare i miei figli o vederli morire. La mia famiglia è sfinita, siamo terribilmente stanchi”.In questo momento Sami si trova ad al-Mawasi, un’area superaffollata dove in ogni tenda si rifugiano almeno 15 e anche 20 sfollati palestinesi. Delle condizioni igieniche è meglio non parlare.“L’Italia è la mia seconda patria. Ci ho vissuto a lungo come studente. In Italia ho perfino avuto la residenza. E’ per questo che credo che l’Italia potrebbe aiutarmi, ma il consolato generale d’Italia a Gerusalemme non ha accolto la mia richiesta di un visto. Hanno risposto che viene concesso solo a chi ha un parente o una residenza in Italia. Qui però stiamo tutti per morire. Com’è possibile che ci si aggrappi a regole burocratiche così rigide, mentre è in corso uno sterminio? Italiani aiutatemi. Qui ci uccidono in massa. Gaza diventerà un enorme cimitero se il mondo non fermerà i piani distruttivi di Israele”, conclude Sami.