Ma quale complotto. Il piano segretissimo del Quirinale per aiutare Meloni a governare

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Il bisticcio ad alto volume tra il partito guidato da Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia, e la presidenza della Repubblica, guidata naturalmente da Sergio Mattarella, si è interrotto ieri mattina, dopo ventiquattro ore di sberle reciproche, con un incontro al Quirinale tra la presidente del Consiglio e il capo dello stato. L’oggetto del confronto è quello che ormai conoscete. Lunedì scorso, la Verità ha pubblicato alcune frasi spericolate offerte da uno dei consiglieri del presidente della Repubblica, Francesco Saverio Garofani, in un luogo pubblico, di fronte ad alcuni interlocutori. Quelle frasi (“Un anno e mezzo non basta per trovare qualcuno che batta il centrodestra, ci vorrebbe un provvidenziale scossone”) sono state inviate ad alcuni giornali nella giornata di lunedì, attraverso una mail il cui mittente, come riportato ieri dal Giornale, rispondeva al nome fittizio di Mario Rossi. Le frasi riportate (complimenti per lo scoop) hanno allarmato il centrodestra, e in particolare Fratelli d’Italia. Fratelli d’Italia, invece di limitarsi a consegnare alle agenzie la formula rituale che si utilizza quando vi è un giallo da chiarire sul quale non si vuole però montare la panna, “fonti di Fratelli d’Italia fanno sapere che sarebbe auspicabile una smentita da parte del dottor Garofani di ciò che ha riportato la Verità”, martedì ha scelto di battere sul tamburo chiedendo chiarimenti ufficiali al consigliere di Mattarella. Il Quirinale, di fronte alle richieste di chiarimenti ufficiali (Bignami, Fazzolari, Donzelli), ha risposto con un comunicato molto duro. Ieri Garofani al Corriere della Sera non ha smentito di aver usato quelle frasi, le ha solo circostanziate in chiacchiere da bar, un bar evidentemente molto affollato. E così ieri, dopo una tensione istituzionale che non si registrava da anni, Meloni ha saggiamente provato a ricucire con il capo dello stato, andando al Quirinale.   Il film dell’incidente legato al caso Garofani verrà ricordato per molte ragioni. Una delle più importanti, probabilmente, è legata a quella che è la ragione che ha spinto il primo partito d’Italia ad alzare a questo livello la tensione con il Quirinale, dando l’impressione di credere che, sotto sotto, al Colle vi sia davvero qualcuno che, come ha titolato la Verità martedì, abbia “un piano per fermare Meloni”. L’idea che il capo dello stato possa pensare di complottare contro la presidente del Consiglio, oltre che ridicola, è un’idea che non trova conferma nel rapporto costruito negli ultimi anni tra il capo del governo e il presidente della Repubblica. E se si volesse provare a individuare un filo conduttore nella relazione tra Meloni e Mattarella si potrebbe dire che se vi è stato un piano, in questi mesi, al Quirinale, riferito al mondo meloniano, quel piano è stato non per fermare Meloni ma per aiutarla a governare. Meloni e Mattarella hanno storie diverse, profili diversi, culture diverse, reattività diverse, sensibilità diverse, e la comunicazione tra i due in questi anni è stata costruita all’interno di una cornice in cui le incomunicabilità potenziali potevano essere infinite (il partito di Giorgia Meloni è in fondo l’unico che in questo Parlamento non ha votato nel 2022 per il rinnovo di Mattarella). Ma nonostante questo l’asse tra Meloni e Mattarella ha sempre retto in modo egregio. E, pur soffrendo in alcuni tratti l’attenzione particolare a ogni dettaglio di ogni legge messa in campo dal Quirinale e in particolare dal presidente della Repubblica, vi è una infinità di temi sui quali il capo del governo e il capo dello stato si sono spalleggiati per smussare gli angoli più estremisti della maggioranza. Senza l’appoggio di Mattarella, senza la sua copertura, senza la sua spinta, senza la sua presenza, senza la sua visione del mondo, sarebbe stato probabilmente più difficile per Meloni arginare alcuni impulsi naturali presenti nella sua maggioranza, e in particolare nella Lega di Matteo Salvini.   Impulsi, per capirci, che hanno un nome e un cognome: l’euroscetticismo latente, il nazionalismo feroce, il muskismo imperante, la xenofobia potenziale, il putinismo galoppante. Gli interventi di Mattarella, in molte occasioni, hanno aiutato a depotenziare le posizioni ambigue di Salvini e compagnia: sulla Russia, sulle sanzioni, sull’Ucraina. Hanno contribuito a fissare sul terreno di gioco paletti istituzionali molto chiari su Nato e Unione europea. Hanno contribuito a dare un sostegno al ministero dell’Economia sulle prudenti politiche di bilancio. E in alcuni casi le sensibilità di Mattarella hanno spinto anche la stessa Meloni a salvarsi dai suoi stessi istinti autolesionistici. Il premierato, in fondo, è stato rinviato a data da destinarsi anche per non evitare un conflitto con il capo dello stato. L’autonomia, in fondo, è stata messa politicamente da parte, salvo sventolarla come una bandierina prima di elezioni importanti per la Lega, anche per non creare fratture laceranti nel paese e anche con il Colle. E se la memoria non ci inganna, vi sono stati negli anni alcuni passaggi che hanno evidenziato una saldatura robusta tra capo dello stato e capo del governo. Quando l’ex ministro francese Darmanin definì la Meloni “incapace di risolvere i problemi migratori”, Mattarella incontrò Macron a Hiroshima (G7) prima dell’arrivo della premier, rendendo pubblica una cordiale intesa bilaterale.   Quando Mattarella, che ha sempre dato un sostegno forte al Piano Mattei del governo, mise a tacere l’opposizione sulla xenofobia del governo giocando di sponda con Meloni sui temi dell’immigrazione e arrivando a dire che (a) non si può negare che vi sia “uno squilibrio demografico crescente nelle previsioni dei demografi, tra Africa ed Europa”, che (b) questo squilibrio è “un problema” e che (c) per questo i “governi sono alla ricerca di un sistema per gestire questo fenomeno”. E, ancora, quando il Consiglio d’Europa chiese al governo italiano di “condurre al più presto uno studio indipendente sul fenomeno della profilazione razziale nell’operato delle sue forze di polizia” Mattarella, dando una spallata a chi provò a utilizzare quell’episodio come una clava da usare contro il governo, invitò il capo della Polizia e direttore generale della Pubblica sicurezza, Vittorio Pisani, con l’intento di “riconfermare la stima e la fiducia della Repubblica nelle Forze dell’ordine, la cui azione si ispira allo spirito democratico e ai valori della Costituzione”. E anche sul referendum costituzionale, in fondo, la scelta fatta dal capo dello stato, quella di non farsi tirare per la giacchetta dai nemici della riforma, e di essere neutrale, è una scelta che non può essere letta come ostile al governo Meloni. La breve ma istruttiva scazzottata tra il mondo meloniano e quello mattarelliano è qui a ricordarci, dunque, alcune verità interessanti. I consiglieri che chiacchierano troppo non fanno bene alla causa di chi dovrebbe ricevere consigli. Il modo con cui Mattarella ha aiutato il governo a stare a galla in questi anni è più rilevante dei complotti goffamente inventati. Il partito di Meloni, prima di gettare ombre sul capo dello stato, dovrebbe imparare a contare fino a dieci. E gli unici complotti a cui forse Meloni e compagnia dovrebbero prestare più attenzione non sono quelli organizzati dai famigerati poteri forti ma sono gli autocomplotti che la maggioranza spesso si costruisce da sola e che in qualche occasione Mattarella ha contribuito a disinnescare. Il piano del Quirinale per fermare Meloni non si vede. Quello per aiutarla a governare invece sì.