«Io sono Israele. Vuoi la libertà? Ho proiettili, carri armati, missili, Apache e F-16 per annientarti. Ho messo sotto assedio le vostre città, confiscato le vostre terre, sradicato i vostri alberi, demolito le vostre case e ancora chiedete libertà? Non hai ricevuto il messaggio? Non avrai mai pace, o libertà, perché io sono Israele». La frase, di Norman Finkelstein – in esergo all’ultimo romanzo di Marco Alloni in uscita il 19 novembre per Compagnia editoriale Aliberti dal titolo “Io sono Israele. Viaggio al termine dell’umano” –, si presenta come un avvertimento, quasi una minaccia. E sembra essere pronunciata dal “Santo”, il protagonista di queste pagine pregne di storia, di filosofia e attualità, l’uomo che si aggira per le strade d’Egitto, profeta contemporaneo dell’Apocalisse. Predicatore di bene, prevede solo male per l’uomo che, ostaggio dell’Io, categoria che l’autore attribuisce all’Occidente imperialista, rischia di disintegrarsi. A pochi chilometri da lì, infatti, a Gaza, sulle sponde del Mar Rosso la tragedia è già manifesta: Israele, ultimo avamposto dell’Occidente in Medio Oriente, sta portando allo sterminio l’intero popolo palestinese. È la fine della storia, la morte della civiltà, il tracollo dello spirito di fratellanza. Ma soprattutto è il capolinea di ogni possibile umanità. E contro questo degrado non resterebbe che un ultimo appello: agire, a ogni costo.Pubblichiamo, per gentile concessione dell’editore, alcuni estratti del libro:Se c’era una cosa di cui in città si evitava quasi sempre di parlare era la tragedia di Gaza. Malgrado in alcune caffetterie gli schermi passassero le immagini senza sonoro provenienti dall’eccidio, a parte qualche vago moto di indignazione, la Palestina sembrava appartenere a un mondo del tutto irrelato.Eppure il centro delle preoccupazioni internazionali sembrava proprio quello: il genocidio di un popolo che non aveva altra colpa se non di occupare una terra che era stata sua per secoli.Da un certo 7 ottobre 2023 le lancette della storia pareva anzi fossero state risospinte indietro di millenni, quando la barbarie regnava incontrastata e i popoli venivano brutalmente eliminati per far spazio ad altri popoli.Ma in questa circostanza, scrisse Ocram nei suoi appunti, il dato impressionante era che il popolo aggressore aveva patito la stessa sorte meno di un secolo prima. E sulla base di un’anomalia senza precedenti se non nelle tribù primitive, pensava di poter fondare uno Stato su base religiosa per restituire la pariglia a genti che non l’avevano mai sfiorato nemmeno con un dito, mai offeso e mai impedito di convivere pacificamente sulla propria terra.D’altronde, fin dal 1948, gli Israeliani pianificavano di estendere i propri possedimenti ovunque fosse stato sancito, dai racconti dell’Antico Testamento, che esistesse una cosiddetta Grande Israele. Con questo intendendo che prima o poi si sarebbero impadroniti anche di porzioni del Libano, della Siria, della Giordania e di parte dell’Iraq.Insomma, il Popolo Ebraico, attraverso il sionismo, nato a fine Ottocento come risposta all’antisemitismo, aveva sempre mirato, alla luce dei nazionalismi moderni, alla creazione di un focolaio in terra di Palestina che per molti significava una sorta di testa di ponte dell’egemonia occidentale in Medio Oriente.Nondimeno a Hurghada non se ne sentiva quasi parlare. Il mondo era lontano, sempre troppo lontano. E il massimo che a Ocram fu concesso fu di discutere dei Protocolli dei Savi di Sion con un ingegnere di navi da crociera che riteneva quel libello, pur nella sua natura di falso, il vero e proprio ispiratore dell’egemonia ebraica nel mondo. Per il resto silenzio e ignavia, distacco e apatia come se l’esistenza si fosse contratta intorno a un disincanto senza più possibilità di riscatto.Per non parlare dell’inconsistenza degli argomenti dello stesso ingegnere, secondo il quale la soluzione finale poteva darsi solo in linea con i piani del Mein Kampf. Unico rimedio politico e razziale, a suo dire, al razzismo ebraico. Una posizione di fronte alla quale Ocram inorridiva, ma che in parte rifletteva un sentimento che da Nasser in poi non si era mai dissolto: gettarli tutti a mare per evitare che dominassero il pianeta.Questo dunque era il clima: a poche decine di chilometri da Hurghada, il valico di Rafah respingeva nel cimitero di Gaza un intero popolo. E in città ci si domandava se la birra Stella fosse più saporita del la Saqqara o se lo Zamalek l’avrebbe finalmente vinta sull’Ahli.Ma non era molto diverso nel resto del mondo. Ucraina e Russia, Cina e Taiwan, la questione siriana, la questione libica, i tracolli delle economie sudamericane, l’ascesa dei Brics, la messa al bando delle ambizioni atomiche dell’Iran, il bullismo statunitense, la disumanizzazione dello spirito indiano in nome del tecnicismo, l’americanizzazione dei Dragoni, il vassallaggio di un’Europa sempre più prona alla Pax Americana, l’estensione ai quattro angoli del globo della civiltà dell’hamburger, l’odio e l’oblio dei poveri, l’oblio della natura, l’oblio della coscienza, l’oblio della morale. E il Drago, il capitalismo, a dettare l’agenda a un’umanità arresa a giocarsi fino alla dissoluzione il motto: «O Occidente o morte».[…]Alzatosi il mattino dopo dalla stuoia, il Santo tornò ad avvertire il medesimo presagio che aveva percepito la sera prima: che qualcosa stava per accadere.Non capiva da cosa gli venisse tale presentimento, ma più ci pensava e più tornava con la mente alle sue ultime letture. Sì, qualcosa stava accadendo, perché il mondo era sull’orlo del precipizio. E quando il mondo è sull’orlo del precipizio, qualcosa accade sempre. E se non accade naturalmente, come accadono le piogge o i terremoti, accade perché noi lo facciamo accadere.Da quali letture egli traesse tali convinzioni è difficile saperlo. Ormai i suoi libri si contavano a centinaia e ne piluccava talmente tanti in una sola volta che sarebbe stato impossibile capire da quale tra quelli avesse ricavato i propri convincimenti. Più verosimile è che nemmeno lui lo sapesse.Quel che è indubbio è che tutto quello che leggeva, direttamente o indirettamente, aveva a che fare con lo spirito. E che quanto accadeva nel mondo poteva essere letto, ai suoi occhi, solo come la vendetta dello spirito sulla prepotenza dell’uomo. Prepotenza che il Santo vedeva in ogni ambito, ma che nelle tante guerre in corso trovava la sua massima espressione e nella corsa al dominio degli uomini sugli altri uomini la sua forma più abominevole.Cosa dunque stava per accadere? Si sarebbe forse abbattuta sul pianeta l’Apocalisse che lui tanto temeva? O qualche soprassalto di coscienza avrebbe potuto evitarlo? O qualche miracolo della natura avrebbe potuto scongiurarlo?Il Santo uscì dal suo casotto e cominciò a camminare, a destra e sinistra, con un bizzarro libro in mano, come un sonnambulo che non sappia bene che direzione prendere. Poi si fermò in mezzo al deserto e si lasciò cadere sulla sabbia adagiandosi a peso morto sulla schiena. Guardò in alto con la testa sulla rena – il cielo immenso mandava i suoi bagliori di vita – e fissò l’azzurro sconfinato pensando a quanta pace fosse al di là dell’umano. E come faceva spesso, prese una pagina a caso del volumetto che teneva in mano e attese di trovarvi una rivelazione.L'articolo “Non avrai mai pace”: la profezia nera di Marco Alloni nel romanzo “Io sono Israele”, tra Gaza, Occidente e il crollo dell’umanità possibile proviene da Il Fatto Quotidiano.