Quando si ha difronte una diagnosi di malattia oncologica, l’istinto è quello di proteggere i bambini dalla sofferenza. Questo atteggiamento comporta un’assenza di comunicazione, che si riversa nell’emotività dei bambini tanto da farli sentire esclusi ai cambiamenti familiari, in colpa, non amati e psicologicamente confusi. Come sostengono molti psicologi, il miglior modo è quello di renderli partecipi a questi cambiamenti attraverso un dialogo aperto improntato su una comunicazione chiara.Come e cosa dico ai miei figli? Questa è la domanda che molti genitori si fanno e devono affrontare. Il primo step è sempre più complicato, ma affrontato nel modo più naturale possibile garantisce dei risultati meno traumatici. Ogni bambino può reagire in modo differente, a seconda dell’età e del carattere, potrebbero alternare momenti di rabbia e momenti di tristezza; pertanto, il consiglio degli esperti è quello di non minimizzare il loro comportamento, di mantenere la loro quotidianità e rispettare il loro tempo di elaborazione. E’ importante dargli la possibilità di esprimersi facendo domande, esternando le loro paura e i loro bisogni. Solo insieme, attraverso un atteggiamento complice, si potrà affrontare questa malattia sia che riguardi un genitore, sia un membro della famiglia, come nonni, zii o parenti. E’ importante che la famiglia si basi sul principio di unione e trasparenza.Un viaggio-intervista insieme alla dott.ssa Claudia Borreani, per soffermarci sulla comunicazione della malattia ai minori e al Dott Carlo Barbati dell’Istituto Nazionale dei Tumori per conoscere la collana di podcast “Ci sentirete vicini” realizzato dalla Fondazione IRCCS (INT) di Milano, in collaborazione con Anvolt. Nuovi linguaggi che possono essere linee guida per affrontare dal punto di vista tecnologico la malattia oncologica.Cosa e in che modo lo dico ai miei figli? È la prima domanda che un genitore si pone per comunicare la propria malattia oncologica o quella dei propri cari ai bambini. Come si risponde a questa domanda e che parola è opportuno usare o non usare per descrivere la malattia: tumore, cancro o bua?Comunicare una diagnosi di tumore ai propri figli rimane una delle sfide più difficili per un genitore che già deve affrontare un percorso di cura. Ci sono tuttavia alcuni accorgimenti che possono aiutare: è importante riflettere prima su cosa dire loro e come dirlo. È consigliabile individuare un momento tranquillo, senza distrazioni, in cui poter parlare con calma. Ovviamente bisogna adattare le informazioni all’età e al livello di maturità dei figli. Anche la scelta dei termini è importante: usare la parola cancro, tumore, o “malattia” va valutata in base alla capacità di comprensione dei figli e alla risonanza emotiva che il termine porta con sé per i genitori. Non devono mai mancare parole di rassicurazione così come la disponibilità costante a rispondere alle domande e ad accogliere le emozioni.Quali sono i consigli da applicare nei confronti dei bambini per affrontare nel migliore dei modi i cambiamenti dettati dalla malattia oncologica, siano essi fisici come la perdita di capelli, la perdita di peso, l’affaticamento o pratici come l’assenza di casa a causa dei ricoveri o interventi chirurgici?Una comunicazione aperta e rassicurante è alla base di ogni relazione funzionale tra genitori e figli. Ogni cambiamento deve essere anticipato, spiegato e dove possibile, normalizzato. Come prepararsi e preparare i figli alla perdita dei capelli rappresenta la preoccupazione maggiormente espressa dai genitori. Si tratta di un passaggio delicato anche per il paziente stesso che deve trovare, prima di parlarne con i figli, la sua personale posizione emotiva rispetto a questo cambiamento. Un taglio di capelli preventivo, l’utilizzo di una parrucca, di un turbante o di un semplice cappellino sono strategie che possono essere condivise con i figli ascoltando anche le loro preferenze. E’ importante sottolineare la transitorietà del cambiamento rassicurando sul fatto che i capelli ricresceranno presto e che saranno più belli di prima.Trattandosi di effetti collaterali dei trattamenti, il tema della transitorietà riguarda molte delle problematiche che si affrontano durante le cure oncologiche quali la stanchezza e il malessere che devono essere sempre adeguatamente contestualizzati. Anche in caso di ricovero è sempre bene valutare l’opportunità di portare i figli a fare visita al genitore malato ascoltando sempre le loro preferenze in merito. Si può poi organizzare l’incontro in reparto oppure optare per spazi più neutri dell’ospedale quali terrazzo, bar, salottini dedicati ove presenti.Il tumore influenza il clima emotivo di tutta la famiglia, sia se coinvolge un genitore o un familiare caro. In che modo bisogna supportare il bambino di fronte a questa notizia sia in ambiente interno e sia in ambiente esterno, come la scuola o altre realtà in cui il bambino ne fa parte?Innanzi tutto, è consigliabile mantenere il più possibile una routine quotidiana in grado di offrire ai minori un senso di normalità e sicurezza. Risulta cruciale mantenere le attività quotidiane come: andare a scuola, fare sport e trascorrere del tempo in famiglia. È importante anche dedicare del tempo per attività “speciali” con i minori, come: leggere insieme, fare passeggiate o semplicemente parlare; tutte queste attività possono rafforzare il legame emotivo e offrire un supporto aggiuntivo.La scuola rappresenta un altro importante luogo di stabilità per i minori durante i periodi di malattia del genitore. È fondamentale coinvolgere gli insegnanti e il personale scolastico, informandoli della situazione che si sta attraversando. Gli insegnanti, infatti, possono svolgere un ruolo chiave nel monitorare i comportamenti dei minori in classe e fornire un sostegno adeguato. La collaborazione tra genitori, insegnanti e psicologi è dunque cruciale per garantire che i minori non si sentano soli nel loro percorso e che abbiano accesso a tutte le risorse di cui hanno bisogno, sia a livello scolastico che emotivo, per fronteggiare alcuni possibili cambiamenti determinati dalla malattia.Dott. Barbati, l’importanza dei podcast come spunti di riflessione per semplificare concetti complessi. La collana di podcast “Ci sentirete vicini” realizzato dalla Fondazione IRCCS (INT) di Milano, in collaborazione con Anvolt ha avuto riscontri positivi da parte di chi li ha ascoltati?Sì, nasce proprio con l’obbiettivo di rendere accessibili temi che, per loro natura, sono complessi e spesso emotivamente densi. Parlare di malattia oncologica all’interno della famiglia, dei vissuti dei minori o del ruolo degli operatori sanitari significa toccare questioni delicate che richiedono un linguaggio accurato, rispettoso e al tempo stesso comprensibile. I podcast hanno avuto un riscontro molto positivo, sia da parte dei pazienti e dei loro familiari, sia da parte degli operatori che lavorano quotidianamente nel contesto onco-ematologico. Molte persone ci hanno scritto dicendo di essersi sentite “accompagnate” mentre ascoltavano le puntate: la voce narrante, i racconti concreti, le situazioni tratte dalla vita reale e il tono empatico con cui affrontiamo ogni tema hanno restituito un senso di vicinanza e di contenimento emotivo che spesso, nella quotidianità della cura, rischia di sfumare. Per diversi ascoltatori, soprattutto genitori che stavano affrontando una diagnosi, la possibilità di ascoltare i podcast in momenti protetti – ad esempio durante gli spostamenti, in casa la sera o nei tempi di attesa tra una visita e l’altra – ha rappresentato un modo per recuperare informazioni in maniera meno “frontale” e più rispettosa dei loro tempi. Molti ci hanno riportato di aver trovato utili i suggerimenti pratici, la chiarezza dei contenuti e il fatto che ci fosse spazio anche per la dimensione emotiva, non solo per quella informativa. Anche sul versante degli operatori sanitari abbiamo ricevuto numerosi feedback: per alcuni colleghi i podcast sono diventati strumenti formativi, utilizzati per approfondire aspetti comunicativi o per discutere in équipe situazioni cliniche complesse. In sintesi, il riscontro è stato molto positivo perché i podcast hanno permesso di “avvicinare” persone che, in momenti di vulnerabilità, avevano bisogno di sentirsi comprese e guidate, senza sentirsi giudicate o sovraccaricate. È esattamente l’obbiettivo a cui puntavamo.Attività pratiche come la lettura di libri adeguati possono essere efficaci durante questo percorso di comunicazione?Assolutamente sì. Le attività pratiche, come la lettura condivisa di libri adeguati all’età del minore, rappresentano strumenti estremamente efficaci nel facilitare la comunicazione all’interno della famiglia durante il percorso oncologico. La mediazione narrativa permette di affrontare temi complessi attraverso un linguaggio simbolico, più accessibile e meno minaccioso. I libri dedicati alla malattia o alle emozioni aiutano a riconoscere ciò che si prova e a dare forma alle eventuali paure. Per molti minori, soprattutto i più piccoli, la possibilità di “vedere” la malattia rappresentata metaforicamente in un personaggio o in una storia aiuta a comprenderla senza esserne sopraffatti. Inoltre, la lettura condivisa crea un momento di intimità in cui il genitore può rispondere alle domande del proprio interlocutore, anche di giovane età, in un clima meno carico rispetto a una conversazione diretta. Esiste ormai una solida letteratura che sostiene l’utilità delle narrazioni terapeutiche: sappiamo che la mediazione attraverso storie, immagini e metafore favorisce la regolazione emotiva, riduce l’ansia e promuove una comunicazione più aperta tra genitori e figli. In alcuni casi, i libri aiutano anche l’adulto a trovare le parole giuste, soprattutto quando teme di “dire troppo” o “dire male”. Nel progetto sviluppato con ANVOLT non abbiamo inserito riferimenti a materiali divulgativi specifici per l’età evolutiva, proprio per non limitare la libertà dei genitori nel scegliere lo strumento narrativo più vicino alla sensibilità della propria famiglia. Tuttavia, resta un’indicazione preziosa quella di utilizzare storie e narrazioni come ponte comunicativo: una modalità che può essere facilmente adattata, personalizzata e resa coerente con i bisogni del bambino e lo stile relazionale della famiglia.Come individuare eventuali segnali di disagio dott. Barbati e quindi risulta cruciale rivolgersi al pediatra o psicologo infantile per comprendere meglio i silenzi dei bambini?Individuare i segnali di disagio nei bambini è un passaggio fondamentale per accompagnarli in modo efficace quando un genitore affronta una malattia oncologica. I bambini, soprattutto i più piccoli, non sempre riescono a esprimere apertamente quello che provano: spesso parlano attraverso il comportamento, i silenzi, i cambiamenti nelle routine. Alcuni segnali, quando persistono nel tempo o rappresentano una marcata deviazione dal funzionamento abituale del bambino, meritano attenzione. Ad esempio: difficoltà del sonno o incubi ricorrenti calo dell’interesse per giochi o attività abituali regressioni (ritorno a comportamenti tipici di fasi precedenti, come enuresi o richiesta costante di vicinanza fisica) irritabilità o scoppi d’ira apparentemente immotivati, difficoltà di concentrazione o calo del rendimento scolastico, isolamento, ritiro, riduzione del dialogo somatizzazioni, come mal di pancia o mal di testa senza causa medica apparente. Questi segnali non significano automaticamente che il bambino stia vivendo un disagio grave, ma indicano che ha bisogno di uno spazio per elaborare ciò che sta accadendo. È proprio in questi momenti che il pediatra o lo psicologo infantile possono fare la differenza.Chiedere aiuto non significa patologizzare il bambino, ma fare prevenzione. Significa offrire alla famiglia un supporto che aiuti a trasformare il silenzio in parola e la paura in un’esperienza condivisa, più sostenibile e meno solitaria. In molte situazioni, bastano pochi.Che ultimo consiglio possiamo dare a chi si imbatte a leggere questo articolo?Un ultimo consiglio che ci sentiamo di dare è quello di non affrontare tutto da soli. La malattia oncologica di un genitore sconvolge gli equilibri familiari, ma non deve trasformarsi in un’esperienza isolata. Parlare con i figli, chiedere supporto agli amici, coinvolgere la scuola, affidarsi ai professionisti: sono tutti passi che proteggono non solo i minori, ma l’intera famiglia. Ogni genitore ha diritto al proprio tempo, alle proprie paure e ai propri limiti. Non esiste un modo “perfetto” per comunicare la malattia, ma esiste un modo autentico, che parte dal desiderio di proteggere e accompagnare i figli anche nei momenti più difficili. Cercare aiuto non è un segno di debolezza, ma una forma concreta di cura. Se c’è un messaggio che vorremmo lasciare, è questo: nessuno deve sentirsi solo nell’affrontare un’esperienza così complessa. Le reti di sostegno – familiari, cliniche, associative – esistono e possono fare davvero la differenza. Parlare, chiedere, condividere rende il peso più leggero e permette a tutti di crescere sentendosi visti, ascoltati e accompagnati. Ti consiglio 5 libri come strumento indispensabile per affrontare questo percorso di malattia.L'articolo Come annunciare il cancro ai bambini? I consigli degli psicologi dell’Istituto Nazionale dei tumori di Milano e 5 libri per affrontare il tema della malattia oncologica con i figli proviene da Il Fatto Quotidiano.