AGI - Le sanzioni all’Italia erano state deliberate dalla Società delle Nazioni una settimana dopo l’aggressione all’Etiopia, l’11 ottobre 1935. Cinquanta Stati avevano votato a favore il 7 novembre, dopo che un Comitato di 18 membri aveva stilato e approvato il 3 le misure da adottare, con la decisione di renderle operative dal 18. L’Italia aveva ovviamente votato contro; Albania, Austria e Ungheria si erano astenute; Stati Uniti e Germania, non avendo aderito alla SdN o essendone uscita, non si espressero sulle decisioni; Jugoslavia e Spagna avvisarono subito Roma che alcune clausole del pacchetto non sarebbero state da esse applicate. Tre Paesi astenuti, le riserve degli Stati Uniti e il doppiogioco della Germania Lo strumento delle sanzioni non era mai stato adoperato prima d’allora, e quando la Campagna d’Etiopia si concluderà il 5 maggio 1936, il velleitarismo di disinnescare una guerra agendo esclusivamente sulla leva economica era risultato palese. Era stato stabilito il divieto di importazione dei prodotti italiani e di esportazione in Italia di tutto quanto fosse utile a fini militari, ma non furono ricompresi il petrolio e il carbone: queste materie prime, da sole, avrebbero messo da subito in ginocchio un Paese privo di risorse e totalmente dipendente dalle forniture estere, ma alle perplessità sulla mancata esclusione avevano risposto Francia e Gran Bretagna sostenendo che per Roma sarebbe stato assai semplice approvvigionarsi proprio dalla Germania e dagli Stati Uniti; questi ultimi, inoltre, avevano chiaramente sottolineato l’ipocrisia delle sanzioni da parte di Paesi che avevano una consolidata tradizione colonialista.Non venne peraltro imposto neppure il divieto di transito dei convogli navali nel Canale di Suez sotto controllo britannico, la cui chiusura avrebbe reso necessaria un’onerosa e lunga circumnavigazione dell’Africa per far sbarcare truppe e materiali nel Mar Rosso. Il blocco più stringente riguardava ovviamente le armi e pure il ricorso al credito per alimentare la macchina bellica. Carbone e petrolio fuori dal pacchetto e transito a Suez garantito Alla prova dei fatti non furono poche le nazioni che aggirarono i divieti e le prescrizioni, col sistema delle triangolazioni, mentre la Gran Bretagna da un lato inviava nel Mediterraneo un’intera flotta da guerra con finalità di deterrenza, dall’altro continuava disinvoltamente a incassare i pingui pedaggi a Suez. La decisione della Società delle Nazioni da un lato svelava l’inefficacia di un organismo che si proponeva di risolvere le controversie per via diplomatica, dall’altro avrebbe avuto conseguenze catastrofiche per gli equilibri internazionali e per quelli interni dell’Italia.Mussolini, per reazione alle sanzioni, abbandonava il tradizionale allineamento a Francia e Gran Bretagna, lasciandosi incantare dalle sirene di Adolf Hitler che in lui vedeva il maestro politico ammirato e imitato. Mentre in un primo tempo il dittatore fascista aveva liquidato con superiorità l’ex caporale austriaco, considerandolo addirittura "un degenerato", adesso vedeva nel Fuhrer una sponda in opposizione alle potenze continentali e un possibile alleato non solo ideologico. Ma mentre Hitler coglieva l’occasione per spezzare l’isolamento affiancandosi a uno degli “uomini forti” d’Europa ed esprimendogli solidarietà, in maniera cinica continuava a rifornire di armi, munizioni e materiali l’esercito del Negus Hailé Selassié. L’opinione pubblica si schiera dalla parte di Mussolini e del regime Dal punto della politica interna, le sanzioni ebbero l’immediato effetto di cementare l’opinione pubblica al regime fascista, che dal canto suo premette l’acceleratore sulla propaganda. In quella fase il sentimento nazionale si impose su quello politico, e persino gli insospettabili si schierarono con Mussolini: le sanzioni erano per divenute per definizione «inique» e il 18 novembre una data da incorniciare per ricordare il tentativo di impedire all’Italia di vendicare la disfatta di Adua del 1896 e incrementare i possedimenti coloniali, proclamando il ritorno dell’impero a Roma. Le sanzioni erano considerate l’espressione dell’assedio alla giovane nazione che solo nel 1918 aveva completato il difficile percorso risorgimentale ed era entrata nel concerto europeo come potenza, per quanto di rango minore. La campagna dell’oro alla Patria e il dono delle fedi nuziali La prima risposta eclatante del regime, e del popolo italiano che venne indirizzato a considerare nemica e oppressiva la Società delle Nazioni, arrivò il mese dopo l’applicazione delle sanzioni, ovvero il 18 dicembre, quando venne celebrata la Giornata della fede nell’ambito della campagna “Date oro alla Patria”. Gli italiani si privarono delle fedi matrimoniali, in cambio di una vera di ferro, per sostenere lo sforzo bellico e i costi della guerra, mentre in tutto il Paese venivano realizzate e affisse lapidi con la data del 18 novembre come giorno della «perenne infamia» del mondo contro l’Italia.La raccolta dell’oro fu celebrata all’Altare della Patria, e la prima fede a cadere nell’urna fu quella della regina Elena; la seconda quella della moglie del duce, Rachele. Non ci fu neanche l’esigenza di forzare la mano, perché personalità e notabili contribuirono con entusiasmo partecipe. Vittorio Emanuele III donò alcuni lingottini, e l’oro alla patria fu devoluto dal Vate Gabriele d’Annunzio e dallo scienziato Guglielmo Marconi; il filosofo Benedetto Croce offrì la medaglietta da senatore del Regno, e tanti italiani anche di modestissime condizioni si sfilarono la fede. In quell’occasione persino la comunità ebraica di Roma non fece mancare né sostegno concreto né consenso: tre anni dopo il regime l’avrebbe ripagata con le Leggi razziali. L’autarchia e l’illusione dell’autosufficienza Nel lessico comune entrò anche la parola autarchia, lo slogan coniato per rispondere con una grande campagna di riprogrammazione economica alle restrizioni provocate dalle sanzioni, con l’esaltazione della produzione nazionale e con i surrogati. Nelle vetrine dei negozi apparvero scritte in cui si magnificavano i prodotti italiani oppure che lì si vendevano solo cose di provenienza nazionale, l’industria e i ricercatori furono spronati a creare quello che non c’era o non si trovava.La chimica, impegnata nel settore sintetico, tirò fuori dalla caseina del latte un tessuto che venne chiamato lanital, solo che quando si bagnava emanava un tanfo nauseabondo, si restringeva e perdeva la forma. Nacque in laboratorio pure la salpa, ovvero la pasta di scarti di conceria che una volta lavorata sembrava pelle ma tutto si fermava alla somiglianza: la leggenda delle scarpe di cartone dei soldati italiani ha questa origine. Si mise in commercio l’orbace, un tessuto ispido e pruriginoso che diventerà un simbolo del fascismo. Quasi superfluo ricordare che tutto il materiale autarchico finirà in gran copia nelle forniture dell’esercito, che brillarono per mediocrità e inadeguatezza. Eppure il regime toccava allora l’apice del consenso, divenuto trasversale. L’abolizione dopo la proclamazione dell’effimero impero Le sanzioni saranno ufficialmente abolite il 14 luglio 1936 ma i danni provocati non erano stati quelli auspicati, e quelli effettivi e collaterali avevano appena iniziato a manifestarsi. L’impero più effimero del Novecento era già stato proclamato, mentre l’Italia legava il suo destino alla Germania nazista e si avviava a grandi passi verso la catastrofe della seconda guerra mondiale.