Ci racconta Dante che nell’inferno sta una grandissima città, la città di Dite. Le sue mura cingono un dato punto dell’inferno, da lì si entra nella zona più tremenda delle punizioni comminate da Dio; da lì, così come dall’inferno in generale, una volta entrati non si può più uscire. Così accade a un narratore-viandante nel romanzo d’esordio di Stefania Bustelli. L’autrice, di origini molisane, ha preso ispirazione dall’immagine del suo borgo natio per comporre una delle narrazioni più caustiche tra i romanzi usciti quest’anno. Sulla scia del modello dantesco il testo narra proprio l’arrivo (per caso) di questo viandante al cospetto del borgo, il quale, a sua volta, visto dall’esterno sembra un enorme polmone pulsante che irretisce colui che lo osserva. Così, irrimediabilmente attratto, il viandante fa il suo ingresso in questo borgo palpitante in cui tutto sembra essere animato da una volontà oscura. I quindici capitoli in cui è divisa la peregrinazione del protagonista – peraltro splendidamente illustrati da una mappa iniziale, che, come quelle del medioevo, stilizza, abbozza e teme il paesaggio che dipinge – si trasformano infatti in un girone infernale dove faranno capolino alberi in grado di intrappolare le persone nella loro resina, atroci banchetti cannibali, donne che cercano di ricatturare la loro ombra sfuggita e persino la carcassa di un’enorme balena popolata da misteriosi abitanti. In tutto questo, l’ambiguità del male cala su ogni elemento: dal borgo senza speranza è difficile (se non impossibile) uscire prima di aver espiato una qualche sorta di colpa, laddove però, nel meccanismo del moderno romanzo, non si capisce se le vie, le strade e gli incontri siano effettivamente regolati da una qualche sorta di giustizia o in preda a un caos oscuro e crudele. Ed è per questo che il lettore, così come il viandante non può che trasmigrare di capitolo in capitolo, assistendo (e sfuggendo) allo spettacolo dei fantasmi e delle follie che abitano il borgo-polmone. Colpisce dello stile di Bustelli, pur sempre alla sua prima prova, la precisione del dettato, il lessico ricercato e acido, l’abilità nel creare situazioni linguistiche al confine tra il delirio e l’onirico. Ed ecco che allora il romanzo si attesta senza alcuna remora in quella tradizione tutta contemporanea tra il realismo magico di un Tommaso Landolfi e le bizzarrie dei testi di Thomas Ligotti. Un testo in grado di spiazzare il lettore ridonando all’aspetto linguistico della letteratura la sua centralità. Stefania Bustelli Borgo Polmone il Saggiatore, 144 pp., 17 euro