di Gianvito Pipitone – Non avrebbe mai potuto immaginare Talete di Mileto che l’acqua, l’elemento che lo inseguì e ossessionò per tutta la vita, si sarebbe trasformata nella sua tomba. La tradizione racconta che morì in un giorno di canicola, nell’estate del 548 a.C., mentre, ormai ottuagenario, assisteva sugli spalti alle gare ginniche di Olimpia.Filosofo e simbolo di curiosità e ingegno, Talete proclamò l’acqua come archè, “principio di tutte le cose”. Ironia della sorte: proprio lui finì per soccombere al sole implacabile e alla sete. Una fine paradossale che suggella la sua intuizione più radicale: senza acqua la vita si spegne.Oggi la biologia conferma la sua visione: il corpo umano è composto per circa il 60% di acqua, e il pianeta Terra mostra una proporzione quasi analoga, con oceani e mari che ricoprono il 71% della superficie. L’acqua regola la temperatura, trasporta nutrienti, dissolve sostanze, rende possibili le reazioni chimiche. Senza acqua non c’è metabolismo, respiro vitale, né nascita. Così, ciò che fu intuizione filosofica è diventato anche questione politica ed economica.Nel mondo contemporaneo l’acqua è risorsa geo-strategica: garantisce la produzione alimentare, sostiene l’industria, alimenta l’energia sostenibile: dalle dighe idroelettriche ai progetti di idrogeno verde. Non a caso, alla COP30 di Belém, i leader mondiali discutono di Amazzonia e risorse idriche, riconoscendo che la gestione dell’acqua è ormai questione di sicurezza globale.Eppure, mentre celebriamo l’acqua come fondamento della vita e della civiltà, ci accorgiamo che essa è anche la nostra più grande fragilità: il vulnus di un pianeta che non ne ha mai abbastanza.In Sicilia e nel Meridione la siccità è un dramma che si ripete puntualmente ogni estate, indipendentemente dalle piogge invernali. È un copione noto: i TG aprono con il solito refrain, gli invasi ridotti a colabrodo si svuotano, le campagne restano a secco, e nell’entroterra arso e dimenticato troppe case combattono con la penuria d’acqua.Non è raro che i rubinetti restino asciutti per giorni, costringendo i cittadini a organizzarsi con bidoni, mentre chi può permetterselo ricorre a cisterne private a prezzi esorbitanti. Nell’Agrigentino – persino nel capoluogo proclamato con grottesca enfasi “Capitale della Cultura 2025” – questa estate si è vissuta una delle peggiori crisi idriche degli ultimi anni.È inaccettabile che nel cuore dell’Europa si debba convivere con problemi da “terzo mondo”, dove l’acqua, il più basilare dei beni naturali, diventa strumento di controllo sociale ed elettorale. Ogni estate i nodi vengono al pettine: l’inefficienza cronica dei governanti, incapaci di mettere in sicurezza gli invasi durante la stagione delle piogge, trasforma la sete in destino amaro.Nei paesi sperduti dell’entroterra continua a riecheggiare il piccolo mondo antico di Fontamara: la voce corale dei cafoni di Ignazio Silone, segnati dall’eterna lotta per l’acqua. Un’eco che risuona ancora oggi, mentre il resto del mondo ha già tracciato un confine netto.Bisognerebbe imparare dagli olandesi, invece, che difendendosi dal mare hanno saputo trasformare la minaccia in risorsa, creando terre fertili irrigate con acqua dolce. La Sicilia, al contrario, continua a desertificarsi per inerzia. Qui servirebbe formare tecnici e politici alla cura delle infrastrutture, per guadagnarsi il diritto di vivere e non di morire di sete.La lezione resta immutata: non c’è progresso senza acqua, né futuro senza rispetto per ciò che ci sostiene. Ed è paradossale che, a ventisei secoli dalla morte di Talete, nel Sud d’Italia siamo ancora costretti a confrontarci con la stessa verità elementare.È tempo che amministratori e politici, invece di inseguire slogan effimeri, si procurino qualche buon libro di filosofia. Potrebbero leggerlo nel caldo delle loro case o, magari, al fresco dei panopticon isolati. Scoprirebbero allora che la lezione di Talete – considerato da Aristotele il primo filosofo di cui si abbia memoria – non è un reperto archeologico da trattare con sufficienza, ma una delle più urgenti sfide contemporanee.E che prima di progettare ponti a campata unica, sarebbe il caso di scavare pozzi: per vivere tutti bene, in armonia con la natura.E invece, come ripeteva un vecchio amico palermitano, riferendosi ai tipi vani e inconcludenti: “hannu u ciriveddu chinu r’acqua”. Non so se avesse in mente la lezione di Talete, ma il bersaglio era chiaro: amministratori e “ruzzolaballe” che galleggiano nell’inerzia e finiscono per annegare nella loro stessa inconcludenza. Unico caso – va detto – in cui l’abbondanza d’acqua non nutre il pensiero, ma lo affoga.A nostre spese, purtroppo.