Tra uomo e intelligenza artificiale. Il 29 ottobre scorso, nel discorso commemorativo per i 60 anni di Nostra Aetate, Papa Leone XIV ha evocato il tema dell’intelligenza artificiale come una delle grandi “novità” del nostro tempo, ma ne ha messo in guardia l’uso improprio.Ha avvertito che se l’IA fosse concepita “come alternativa agli esseri umani, può violare gravemente la loro infinita dignità e neutralizzare le loro responsabilità fondamentali”.Due settimane dopo, durante una conferenza sulla protezione dei minori nell’era digitale, il Papa ha rimarcato l’urgenza educativa: i bambini e gli adolescenti, ha detto, “sono particolarmente vulnerabili agli algoritmi che possono influenzare le loro decisioni e preferenze”. Dunque per il pontefice non basta la regolazione: serve un’educazione quotidiana, una forma di accompagnamento umano che preservi la dignità anche nel rapporto con le macchine.Quella di Leone XIV è un’esortazione che fa breccia. In un articolo su Wall Street Journal intitolato “AI Is a Tool, Not a Soul”, Kristen Ziccarelli e Joshua Treviño, analisti di politiche pubbliche rispettivamente a Washington, D.C. e in Texas, osservano che il Papa “prova a mettere un freno alle affermazioni secondo cui i chatbot sarebbero esseri senzienti con diritti”. Secondo loro, la riflessione vaticana tocca un punto fondamentale: “Qualunque cosa l’IA diventi, non è genuinamente antropica”ma resta una “creazione secondaria”, uno strumento.Ziccarelli e Treviño mettono in luce la distinzione tracciata dal Papa tra “partecipazione all’atto creativo divino” — perché l’IA, scrive, “sgorga dalla capacità creativa che Dio ci ha affidato” — e il fatto che esso “non è un atto divino di creazione”.Tradotto: l’IA non è Dio, non è vita, non possiede anima.L’articolo aggiunge che il Papa considera l’IA “una delle rerum novarum — le “nuove cose”- del nostro tempo” un parallelo intenzionale con la Rerum Novarum sociale del 1891. Questo paragone suggerisce che Leone XIV vede l’IA come una svolta epocale, non solo tecnologica ma sociale e morale.Per gli analisti americani, le implicazioni per le politiche pubbliche sono chiare: “L’IA, intesa come strumento, è soggetta alle preoccupazioni etiche e alle restrizioni di tutti gli altri strumenti. Capirla così significa rifiutare l’idea — moralmente inaccettabile e ontologicamente sbagliata — che abbia diritti come se fosse un essere senziente”.Ziccarelli e Treviño avvertono che trattare le macchine “come se avessero un’anima” può portare a una “psicosi dell’IA”: “Trattare la macchina come una persona con una vera anima”, scrivono, significa “vivere come se fosse un pari”, con tutti i rischi — perdita di responsabilità, confusione sui diritti, femminilità dell’umano.Mettendo insieme le parole del Papa e l’analisi laica americana si delinea un quadro molto concreto: l’intelligenza artificiale è riconosciuta come potente, ma va incorniciata da un’etica umana ben definita.Non basta dire “la tecnologia va regolata”: occorre definire con precisione la sua natura, i suoi limiti e le sue finalità.Il Pontefice chiama a un’azione spirituale e educativa; Ziccarelli e Treviño a un approccio politico-giuridico e culturale.Entrambe le prospettive convergono su un punto cruciale: l’IA è uno strumento che richiede responsabilità umana, non un’entità da venerare o integrare come pari.Insomma, l’uomo prima di tutto.