JPMorgan Chase: Le dinastie miliardarie guardano sempre più allo sport: così possono ridisegnare il mercato globale

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I miliardari, soprattutto quelli statunitensi, sono sempre più interessati a investire nello sport. A dare l’ufficialità di una tendenza già in essere (proprio ieri l’ingresso di nuovi azionisti USA nel Cagliari) è stata niente meno che l’edizione ‘25 del Principal Discussions Report, lo studio in cui la divisione private banking di JPMorgan Chase (uno dei più prestigiosi istituti finanziari di Wall Street) riunisce ogni anno le evidenze emerse dai colloqui con le famiglie più doviziose e ricche nel mondo. In questo caso 11 dinastie imprenditoriali il cui patrimonio complessivo sommato ammonta a oltre 500 miliardi di dollari.Nel dettaglio, l’edizione di quest’anno ha coinvolto famiglie operanti in 15 comparti industriali, appartenenti a 28 diversi Paesi e così suddivise a livello geografico:44 in Nord America30 in Europa, Medio Oriente e Africa28 in America Latina9 nei Paesi dell’Asia PacificoIl report, di circa una ottantina di pagine, porta all’evidenza soprattutto cinque punti chiave. E uno di questi, l’unico per altro che dà suggerimenti su dove investire (tanto per sottolineare la portata della cosa) è quello sullo sport.Nel particolare questi sono i cinque punti chiave emersi:Il 70% dei membri delle famiglie più doviziose vuole avere un ruolo diretto, attivo e operativo negli investimenti della propria dinastia, non accontentandosi più di ricevere gli eventuali dividendi dall’operato dei propri manager ma agendo sempre più in prima persona. Questa percentuale, che era solo il 43% nel 2022, è quasi raddoppiata nell’edizione di quest’anno.Il secondo punto chiave è quello di cui sopra e che più importa in questa sede. E spiega come quasi il 20% delle 111 famiglie più ricche intervistate sia ora in possesso di partecipazioni in società sportive. Il che significa un incremento più che triplicato nei confronti di solo tre anni orsono quando la percentuale era 6%. E il fenomeno è visto in netta crescita.Passando dalle logiche di investimento ai rischi, il terzo parla di come il 56% degli intervistati identifichi nelle tensioni geopolitiche mondiali il principale pericolo per i propri investimenti.Infine per quanto concerne gli stili di vita, il 79% degli intervistati ha ammesso di usare l’intelligenza artificiale nelle proprie vite personaliE l’ultimo punto chiave spiega che oltre il 70% dei superricchi devolve alcune delle proprie fortune in strutture filantropiche quali scuole e ospedali ritenendole non solo un dovere verso la società ma anche un modo per radicarsi nella comunità.L’ingresso nello sport come nuova frontiera d’investimentoCome si notava più sopra, l’unico punto chiave riguardante gli investimenti sia quello legato allo sport. E questo la dice lunga di quanto le dinastie più importanti del pianeta abbiano messo nel mirino questo comparto.La tendenza non è certo nuova, spiega il report nel prosieguo, però va sottolineato come un terzo delle famiglie intervistate quest’anno abbia confermato di aver investito in società sportive o in impianti, rendendola la loro principale fonte di investimenti speciale davanti ad arte e automobili. «Lo sport è diventato più di un semplice investimento di passione – ha dichiarato Andrew Cohen, presidente esecutivo di JPMorgan Global Private Bank –. È divenuto una reale parte del portafoglio. Gli Stati Uniti sono ovviamente il mercato dominante per gli investimenti sportivi, ma l’ubiquità delle opportunità sta crescendo nel mondo».E in questo quadro è da notare come alcune di queste famiglie stiano unendo la propria forza economica all’esperienza di società specializzate nella gestione di società sportive quali ad esempio Ares Management Corp o Apollo Global Management. Quest’ultimo è appena diventato il socio di riferimento dell’Atletico di Madrid (con una percentuale del 51%) in un’operazione che ha valutato il 100% dei colchoneros alla cifra monstre di 2,5 miliardi di euro.Nello stesso tempo non va scordato che negli Stati Uniti il mondo dello sport, e soprattutto del calcio, è considerato in un momento particolarmente propizio per quanto concerne le quotazioni delle società, spinte dall’attenzione mediatica e dalle entrate da diritti televisivi di competizioni internazionali quali la Champions League e il Mondiale per Club FIFA. Senza dimenticare che la prossima estate il Paese ospiterà la Coppa del Mondo per squadre nazionali, che è tuttora il maggior evento sportivo del globo.Inoltre, va segnalato che a spingere gli investimenti nello sport, soprattutto in Nord America, vi è anche una novità legale: la NBA, la lega professionistica di basket USA, sia la NFL, il campionato di football americano statunitense, si sono aperte, dopo anni di ostracismo, all’entrata nel capitale delle franchigie dei fondi di investimento. Una liberalizzazione normativa che ha permesso un balzo verso l’alto, anche in maniera vertiginosa, del valore delle società sportive con conseguente aumento del valore del portafoglio azionario delle dinastie già presenti nell’azionariato di questa o di quella franchigia.In questo quadro non è un caso se, non più tardi del mese scorso, la NBA ha approvato l’acquisto da parte di Mark Walter dei Los Angeles Lakers, probabilmente la franchigia più iconica del basket a stelle e strisce, per la cifra stratosferica di circa 10 miliardi di dollari. Una quotazione da record che supera anche ampiamente quella dell’altra franchigia iconica del basket a stelle e strisce, i Boston Celtics che solamente lo scorso marzo sono stati ceduti per 6,1 miliardi.E le operazioni stanno iniziando a giungere anche per quanto riguarda la NFL di football americano. In ottobre i New York Giants hanno ceduto una partecipazione del 10% alla famiglia Koch per una valutazione complessiva della franchigia di 10,3 miliardi di dollari, stabilendo un nuovo massimo nei valori delle società sportive. A spingere la valutazione anche il fatto non poco importante che i Giants hanno potuto mettere sul tavolo anche il vantaggio di legare al proprio status agonistico anche il nome e il mito della Grande Mela, che ha pochi eguali al mondo. L’impatto globale della corsa agli investimenti USAOvviamente questi sono solo gli esempi recenti più eclatanti e senza alcun dubbio questa tendenza, che ha il suo apice negli Stati Uniti, ha già mostrato molti sintomi al di fuori del Nord America. Non a caso in Serie A u proprietà su 20 sono in mano straniera, di cui nove sono nordamericane. E la tendenza è evidente anche in Serie B visto che sommando le due nostre categorie maggiori le proprietà non italiane sono 19 su 40. Il tutto per non parlare della Premier League inglese, dove il fenomeno degli investimenti USA nel calcio europeo è iniziato anni orsono sia per la contiguità linguistica, culturale, normativa esistente tra Regno Unito e Stati Uniti sia per la redditività di numerosi club d’Oltremanica.In questo quadro è evidente che se la spinta degli investitori americani nello sport dovesse continuare di questo passo, oppure se dovesse addirittura accelerare come suggerisce lo studio di JPMorgan Chase, a rallegrarsene non sarebbero in pochi. Specialmente tra i proprietari di club europei, siano essi fondi statunitensi già giunti in Europa, oppure patron appartenenti alla tradizione sportiva tipica nel Vecchio continente.Se così andasse infatti non è irreale ipotizzare che i prezzi dovrebbero alzarsi ulteriormente e con loro i multipli di mercato delle acquisizioni, ovvero i coefficienti che si usano nelle compravendita di aziende per stabilire la valutazione della società. Questi sono basati tipicamente su un moltiplicatore del fatturato (o dell’ebitda o degli utili) che muta da settore a settore a seconda dell’attrattività del comparto.A cascata un ulteriore aumento delle valutazioni non potrebbe che rendere soddisfatti coloro i quali, come ad esempio i fondi di private equity, dovranno prima o poi uscire dal proprio investimento calcistico per ripagare i propri investitori nel medio termine. Oppure chi da tempo è nel settore come alcuni patron tradizionali che potrebbero decidere di lasciare il mondo del calcio dinnanzi a nuove proposte.Inoltre a favorire questa dinamica c’è la struttura stessa dello sport nordamericano. Negli Stati Uniti le leghe degli sport principali (football americano, baseball, pallacanestro, hockey e adesso anche il calcio vista la crescita della MLS) sono a numero chiuso. E se è vero che vi è sempre la possibilità di poter aumentare questo limite chiedendo alle leghe la creazione di nuove franchigie, è altrettanto vero che il processo in questione non solo è lungo ma non è detto nemmeno che vada a buon fine, dato che i parametri da rispettare sono diversi e non sempre così semplici da superare. Insomma le società sulle quali potere investire negli Stati Uniti sono limitate e questo crea inevitabilmente un collo di bottiglia se la spinta di chi vuole investire è sostenuta. Di qui il possibile aumento di prezzi oltre la razionalità economica oppure la ricerca di nuove opportunità all’estero.In Europa d’altronde questo problema è molto minore, dato che nei vari campionati soprattutto in quelli calcistici sono numerosi i club che hanno blasone, storia o città alle spalle dal respiro internazionale. Pertanto è logico pensare che qualora gli investimenti nello sport dovessero ulteriormente aumentare come suggerisce JPMorgan Chase, del limitato numero di opzioni offerte dalle leghe statunitensi ne godrebbero ulteriormente gli sport europei, e nella fattispecie il calcio, unica disciplina al di fuori del Nord America paragonabile a quelli dei grandi sport a stelle e strisce in termini di economia e numeri.