“Chi sostituirebbe un villino storico con un palazzo moderno? E allora se un ciliegio si ammala, perché sostituirlo con un pero? Oggi la variazione delle piante nei contesti urbani è imposta dai settori che lavorano in esternalizzazione sul verde urbano (vivaismo industriale, ditte e categorie professionali), non è una scelta basata su una consolidata tradizione di ortocultura e giardinaggio. Le scelte sulla sostituzione sono ormai quasi esclusiva competenza di agronomi forestali o architetti, che talvolta mostrano carenze nel campo del giardinaggio come opera d’arte e di cultura”. A poche ore dalla Giornata Nazionale degli Alberi (che si celebra ogni 21 novembre), Mario Bencivenni, storico dell’architettura e dei giardini e referente per il verde urbano di Italia Nostra a Firenze, commenta così la decisione del Comune di Como di tagliare 45 ciliegi per sostituirli con dei peri, scelta che ha causato la rivolta dei residenti, che per ora sono riusciti, con un sit-in, a fermare gli abbattimenti. Con l’occasione, lo storico dei giardini ribadisce la visione del verde urbano: “I giardini in città sono opere d’arte, beni culturali. Invece li abbiamo consegnati al vivaismo industriale e a chi abbatte e ripianta in continuazione”.Quando lei parla di giardini, intende anche i filari di alberi?Certo, il filare di alberate dei viali è un corridoio ecologico. Se si sostituisce un intero filare cambiando specie, oltre al danno estetico si perde anche l’effetto ecosistemico. Ci tengo a citare a questo proposito un trattato “Alberature stradali”, del 1938, scritto da Paolino Ferrari, che parte dalla bellezza e dalla funzionalità delle alberature stradali. Alberature che un tempo servivano a chi iniziava a muoversi con la macchina a non andare fuori strada, oppure a far camminare gli eserciti per evitare il caldo. Dimentichiamo che la natura in città è stata fatta dall’uomo: perché non rispettare le scelte che ha fatto chi ci ha preceduto, per capire cosa ha fatto e cosa può essere utile anche per noi?Sostituire, con piante ovviamente più piccole, frena anche il contrasto ai cambiamenti climatici?Certamente. Quando piove in città le piante adulte trattengono l’acqua. Inoltre, oggi si abbattono alberi enormi sostituendoli con altri che non assorbono CO2 e non fanno ombra. Credere che valga l’equazione 1 a 1 è assurdo. Se si abbatte un albero intorno ai quarant’anni,per riprodurre i suoi effetti ecosistemici occorrerebbero duemila piante giovani. Per non parlare della pratica di piantare specie “fastigiate”, che sviluppano chiome coniche e affusolate che non fanno ombra, per non dare fastidio, magari alle reti aeree delle tramvie. Insomma, per contrastare il riscaldamento globale la prima regola dovrebbe essere conservare il massimo possibile le piante adulte: lecci, bagolari, platani, tigli, pini domestici, oggi ingiustamente criminalizzati.Ma perché allora, secondo lei, le amministrazione tendono a sostituire e non conservare?Perché le amministrazioni non vogliono avere grane e hanno abdicato al magistero della “cura”. Dal canto loro, sia i vivaisti sia i soggetti privati che abbattono e ripiantano in continuazione guadagnano da questo chiodo fisso della sostituzione. Oggi poi le sostituzioni di specie sono alimentate anche da un errato approccio alle fitopatologie: invece di capire le cause e prevenire le patologie si sono realizzati dei cloni. Prima di mettere un ibrido clonato dovremmo chiederci come mai si diffonde, ad esempio, il tumore del platano. Inoltre ci dovremmo concentrare sulle operazioni di sostituzione degli esemplari malati e di bonificare la zona interessata. L’uso degli esemplari clonati può produrre effetti molto gravi sull’aspetto della pianta. Ad esempio, i cipressi anche dopo anni mostrano forme che sembrano fatte con uno stampo industriale e hanno perso la loro naturale “varietas”. E va ricordato anche che le piante riescono a immunizzarsi anche da sole, ma noi siamo la società dell’usa e getta e non della cura e delle custodia.Ma curare costa più di sostituire?Secondo me no. Questo sistema che sostituisce in continuazione costa molto di più e ha effetti negativi, rispetto ad avere giardinieri in pianta stabile, come un tempo, che accudiscono le piante. Questo garantirebbe, tra l’altro, la sicurezza, molto meglio delle prove visive (VTA) di professionisti oltretutto a prezzi ridicoli e che sono ormai diventate la giustificazione per gli amministratori per abbattere gli alberi. Insomma, sarebbe di gran lunga meglio se metà dei milioni di fondi del Pnrr che vengono utilizzati per il verde urbano fossero spesi, invece che esclusivamente in abbattimenti e ripiantagioni, per ricostituire corpi di giardinieri in pianta stabile. Ma c’è un’altra considerazione.Quale?Se la pianta la metti bene a dimora e la accudisci per almeno quattro anni, se non fai le capitozzature, vive a lungo e non c’è neanche bisogno di potatura. Invece con il sistema attuale, motoseghe e piattaforme meccaniche che agiscono dall’esterno, il ciclo di potatura va ripetuto spesso e quindi è un flusso continuo di denaro pubblico che va alle ditte che potano: uno spreco di soldi, accompagnato da danni alle piante che creano una precoce morte e la necessità di sostituite. Sempre a proposito dei costi: se le nuove piante da utilizzare per i necessari rinnovamenti, come una volta, fossero prodotte da vivai dei servizi giardini pubblici si aumenterebbe la qualità, spendendo meno.Bisogna, insomma, curare di più.Sì. Soprattutto quando si pianta. Bisogna studiare il terreno e preparare bene la terra. Ma la fase più delicata è la messa a dimora e la fase successiva. Infatti, per dirlo con un’immagine, il vivaio è come se fosse un grembo materno, la messa a dimora è un parto e quello che abbiamo dopo è un neonato che ha bisogno di tantissime cure per almeno quattro anni. Dopo di che, se si sono seguite bene le regole dell’accompagnamento, la neonata pianta è in grado di pensare da sola all’acqua. Sono queste le vere “nature based solution”, le soluzioni secondo natura. L’approccio col verde urbano a mio avviso più che gli slogan di facciata dovrebbe recuperare l’attitudine contenuta nell’antico aforisma greco “kata physin”(secondo natura) che ci richiama a seguire le regole della Natura. È l’approccio migliore per contrastare non solo la crisi climatica in atto, ma anche i drammatici cambiamenti culturali, rispetto al verde urbano, avvenuti negli ultimi vent’anni.L'articolo Giornata nazionale degli Alberi, l’esperto Bencivenni: “Sostituire e ripiantare in città è diventato un business: fa male alle casse pubbliche e all’ambiente” proviene da Il Fatto Quotidiano.