Lo storico Kamel stronca il sì dell’Onu al piano Usa su Gaza: “È un brutto giorno per l’autodeterminazione palestinese”

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“È un grande giorno per Netanyahu, Hamas e Trump, presidente-pregiudicato che presiederà il ‘Consiglio di pace’. È un brutto giorno per la sicurezza a lungo termine dello Stato di Israele, per l’autodeterminazione palestinese e più in generale anche per le tante persone perbene che ci sono nel nostro mondo”. Con questa frase icastica, Lorenzo Kamel, professore di Storia Internazionale all’Università di Torino, adjunct professor alla Luiss School of Government e finalista del premio nazionale per la divulgazione scientifica con il suo ultimo saggio Israele-Palestina in 36 risposte (Einaudi), commenta la risoluzione 2803 su Gaza, approvata il 17 novembre dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu con 13 voti favorevoli e l’astensione di Russia e Cina. Un voto che rimescola gli equilibri della regione e affida a Donald Trump il controllo della Striscia per due anni attraverso un organismo dai contorni indefiniti, il “Consiglio di Pace”, i cui membri saranno scelti direttamente dal presidente statunitense.Ospite di Effetto Giorno, su Radio24, Kamel mette in evidenza la natura “talmente vaga e talmente arbitraria” del testo, privo di riferimenti alle risoluzioni precedenti e agli accordi che negli ultimi decenni hanno definito il quadro negoziale israelo-palestinese. Nessun cenno agli Accordi di Oslo, che stabiliscono l’unità territoriale di Gaza e Cisgiordania; nessun richiamo alla risoluzione 476 del 1980, con cui il Consiglio di Sicurezza aveva ribadito che l’acquisizione di territori con la forza è inammissibile. La nuova risoluzione, osserva lo storico, “va sostanzialmente in una direzione opposta”, cristallizzando la separazione tra i due territori palestinesi e impedendo all’Autorità nazionale palestinese di avere un ruolo nella Striscia.L’orizzonte politico che ne risulta appare così indeterminato da offrire a Trump e Netanyahu la possibilità di dichiarare insufficiente “qualsiasi sforzo della controparte palestinese”, anche in una situazione ipotetica in cui i palestinesi “divenissero la Norvegia del Medio Oriente”.Kamel ricorda che i paesi arabi che hanno sostenuto la risoluzione sono guidati da “leader corrotti e ricattabili”, a cominciare da Egitto, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita. Leader che, osserva, sanno che la loro sopravvivenza politica ed economica “passa dal piegarsi a ciò che gli viene richiesto”, e che si attendono concessioni sostanziali da parte di Trump.Le astensioni di Mosca e Pechino aprono un altro capitolo: “vedremo a breve cosa riceverà, ad esempio, la Russia in cambio del suo mancato veto”, afferma Kamel, lasciando intendere che un ritorno politico non mancherà.Alla domanda del conduttore Alessio Maurizi su come interpretare il via libera dell’ANP e il rifiuto di Hamas, la spiegazione affonda nel quadro che ha dato origine all’Autorità nazionale palestinese. L’ANP nasce dagli Accordi di Oslo del 1993-1995: ne derivano i suoi poteri, la sua legittimità, il suo finanziamento e la sua sopravvivenza amministrativa. Senza Oslo, semplicemente, non esisterebbe.Lo storico conferma questo punto: “L’Autorità nazionale palestinese è totalmente dipendente dal processo di Oslo e il suo capo, Abu Mazen, è un leader totalmente screditato e corrotto che non ha nessuna aderenza con la società palestinese, dunque non ha alternativa se non quella appunto di piegarsi totalmente a quello che gli viene richiesto”.Scaturisce così la sintesi politica del professore: il voto rappresenta “un grande giorno per Netanyahu”, che ottiene un margine di manovra e una via d’uscita anche in caso di ripresa della guerra; “un giorno importante anche per Hamas”, che vede consolidarsi il proprio potere nella parte di Gaza rimasta sotto controllo palestinese; “un grande giorno per Trump”, destinato a presiedere il Consiglio di pace nonostante la condanna inflitta dalla giustizia americana.Al contrario, è “un brutto giorno per ciò che resta di Gaza”, divisa e privata della sua terra coltivabile, “un brutto giorno per la sicurezza a lungo termine dello Stato di Israele”, “un brutto giorno per l’autodeterminazione palestinese” e “un brutto giorno” per chi ha a cuore la causa palestinese.Sul futuro, Kamel intravede uno scenario che richiama quello della Cisgiordania dopo il 1967: un’occupazione “temporanea, fra virgolette”, destinata a protrarsi nel tempo. “Oltre il 50%, il 53% della Striscia di Gaza è occupato dalle autorità israeliane”, spiega, e si tratta della parte più fertile e agricola. La zona sabbiosa e meno produttiva rimane ai palestinesi.Il professore lega questo quadro alle dinamiche in Cisgiordania, definite dagli Accordi di Oslo II del 1995. Le aree A e B, frammentate in 165 isole amministrative, rappresentano poco più del 40% del territorio e resterebbero sotto controllo palestinese; l’area C, il restante 60%, è la porzione strategica: risorse idriche, terra fertile, spazio per gli insediamenti.Se figure come Bezalel Smotrich continueranno a guidare la linea del governo israeliano, avverte Kamel, si tenterà di “smuovere il più possibile e di espellere la popolazione palestinese dall’area C”. Il risultato sarebbe una mappa in cui i palestinesi mantengono soltanto le aree A e B della Cisgiordania e la parte sabbiosa costiera di Gaza, mentre la porzione vitale dal punto di vista agricolo, idrico e strategico rimane sotto controllo israeliano.L'articolo Lo storico Kamel stronca il sì dell’Onu al piano Usa su Gaza: “È un brutto giorno per l’autodeterminazione palestinese” proviene da Il Fatto Quotidiano.