Erano i pieni anni Ottanta della moda italiana, quando le tendenze che attecchivano alle sfilate casual milanesi arrivavano poi in periferia già datate di due anni, evaporate eppure percepite quali novità da un contesto comunque non avvezzo. Alle giacche di Armani, oggi, si sostituisce l’affidamento salvifico all’intelligenza artificiale: i tempi di reazione si sono certo ristretti, ma simile è l’effetto dell’affannosa corsa a non rimanere indietro, un po’ fear of missing out, un po’ briciole di malintesa modernità a scoppio ritardato. Così il Veneto politico, alle soglie di un voto regionale più che scontato, si fa prendere la mano dalle applicazioni pop dell’AI, come quasi tutti i neofiti di qualcosa: ed ecco spuntare come funghi i video promozionali di candidati e partiti, sempre meno reali (e realisti), sempre più tendenti alla preselezione dell’algoritmo. L’esito viaggia spesso sul filo del cringe, non di rado oltrepassandolo: l’esempio naturalmente più eclatante viene da un ringiovanito Luca Zaia, che volendo “diventare davvero un problema” per la coalizione di centrodestra, per la Lega di Salvini, per il governo Meloni e per lo stesso successore designato – il giovane Alberto Stefani – ha deciso di strafare le cose in grande anche in questo campo. Ben sette clip promozionali in serie, uno per ciascuna provincia, dove ha voluto candidarsi con lo scopo di riscuotere consensi in numero tale da tenere testa a ogni futuro eventuale discorso. L’annuncio roboante, vagamente “oceanico”, arriva ovunque via telefono, là dove in altri tempi sarebbe stato diffuso via radio e altoparlanti di piazza; sette leoncini alati lo portano in gondola, o viaggiano in bob lungo la pista olimpica fortemente voluta, sopra il trattore a raccogliere l’uva del suo Prosecco e tra le lauree padovane del Bo. “Dopo Zaia, scrivi Zaia” veleggia verso traguardi non dichiarati: centomila preferenze o centomila visualizzazioni? Altro che Vivaldi e Rondò Veneziano: qualche buontempone vorrebbe che le note della web hit “Veneto ze stupendo” diventassero addirittura l’inno della Regione… anche meno. Ma il pioniere dell’abuso di ChatGPT in salsa di acciughe è “il doge gianduiotto” (sic) Marco Rizzo, candidatosi fuori luogo per monetizzare le apparizioni televisive: s’immagina con la corona in testa, alzarsi in volo come Trump e gettare mitraglie, supposti vaccini, bottiglie di latte (almeno non letame) contro Ursula von der Leyen, al fine di connettersi con ciò che rimane della battaglia antieuropea degli allevatori sotto l’insegna della mucca Ercolina. Poi scende a terra, ritraendosi trionfante lungo una fantomatica Strada Nova veneziana, tra due ali di folla - l’ego non gli difetta - e sollevando bambini in stile staliniano. Vabbè. E se perfino Rifondazione Comunista, travestita nemmeno troppo da lista Pace Salute Lavoro, approda ai mezzucci contemporanei facendo girare pagina al libro sotto il León (perché sempre là si finisce), spiazza il candidato mestrino Gianluca Trabucco, di stretto rito bersaniano e già inappuntabile presidente di Municipalità: ha commissionato a software come Suno un rap di denuncia e gancio della gioventù, annunciandolo con il post mamdaniano “Veneto, alza la voce!”. Tra liste sanitarie d’attesa, sfratti, overtourism, bosco dello sport e perfino un albero recentemente lasciato cadere, nonostante la conclusione vintage che ricorda il Quarto Stato, il risultato musicale pare più simile al claim “hai voglia di riso?” di un noto spot televisivo: anche se in ritardo, c’è ancora molta strada da fare per ammantarsi di specifica credibilità.