“Chi ha proposto quell’emendamento sapeva che, sulla legge finanziaria, un emendamento di questo genere sarebbe stato dichiarato inammissibile: è stata dunque una piccola provocazione, forse per tastare il terreno con l’opposizione. Ma nella sostanza l’emendamento è giusto. Direi di più: rende esplicita una regola che potrebbe già desumersi dalla legge oggi vigente”. Il giurista Pietro Ichino, ex sindacalista Fiom-Cgil e già parlamentare di Pci e Pd, commenta in questo modo, parlando col Foglio, l’emendamento presentato dal senatore di FdI Matteo Gelmetti nelle pieghe della legge di Bilancio, che mirava a introdurre un obbligo di preavviso di una settimana a carico dei lavoratori che aderiscono agli scioperi nel settore dei trasporti. Emendamento poi accantonato, anche se il meloniano ha rinviato la discussione a un apposito ddl futuro. Insomma, tanto rumore per nulla? “La legge sancisce già il diritto degli utenti a essere informati in modo preciso con almeno cinque giorni di anticipo circa l’impatto dello sciopero sul servizio pubblico”, spiega Ichino, docente di Diritto del lavoro all’Università di Milano. “E il Garante ha detto più volte che tutti – imprese, sindacati e anche i singoli lavoratori – sono tenuti a comportarsi in modo che questo diritto sia rispettato. Già da questo si potrebbe desumere l’obbligo per ogni persona interessata di dichiarare la propria adesione allo sciopero in tempo utile, per consentire che il diritto dell’utente sia rispettato”. I sindacati e i partiti di opposizione, però, parlano di attacco al diritto allo sciopero: sostengono che l’obbligo di dichiarazione preventiva dell’adesione consentirebbe la formazione di ‘liste di proscrizione’. “Ma l’adesione o no di una persona non è una notizia segreta: il giorno dello sciopero è sotto gli occhi di tutti, ivi compresa ovviamente l’impresa, che deve registrare il fatto anche al fine della trattenuta sulla retribuzione”, spiega Ichino. Fatto sta che dal Pd alla Cgil si obietta che nel corso della settimana di preavviso l’impresa potrebbe esercitare pressioni su chi ha aderito, per indurlo a cambiare idea. Ma anche su questo il giurista è in disaccordo: “Tutti sanno che questo costituirebbe un comportamento antisindacale grave, destinato a essere immediatamente e severamente sanzionato dal giudice a norma dell’articolo 28 dello Statuto”. Lei ha sostenuto che l’inflazione degli scioperi nel settore dei trasporti mina l’efficacia di questa forma di lotta. Dovrebbero dunque essere lo stesse forze progressista a prendere l’iniziativa per porvi un argine? “No: dico che dovrebbe essere il sistema stesso delle relazioni industriali a stabilire delle regole su questa materia, nel settore dei servizi pubblici, per ridare allo sciopero il prestigio che si è totalmente perduto con la sua riduzione a routine. Anche perché, oltretutto, nel settore dei trasporti pubblici lo sciopero-routine danneggia solo gli utenti, ma non il gestore del servizio, che al contrario ci guadagna”. Cioè? “Nella giornata di sciopero l’azienda municipalizzata risparmia su retribuzioni, energia e carburante, usura macchine e sinistri; mentre i proventi degli abbonamenti e dei contributi pubblici alle aziende municipalizzate non vengono decurtati”. Come potrebbe avvenire dunque questa svolta? “La Commissione di Garanzia dovrebbe farsi promotrice di un accordo interconfederale che preveda uno scambio politico: responsabilizzazione dei committenti pubblici per il tempestivo rinnovo dei contratti collettivi, in cambio della responsabilizzazione dei singoli lavoratori per l’informazione preventiva agli utenti sull’adesione allo sciopero; abolizione delle norme sulla c.d. ‘rarefazione’ in cambio di una regola per cui lo sciopero nel servizio pubblico deve essere preventivamente approvato almeno dal 20 per cento dei lavoratori interessati. In UK, Germania, e diversi altri paesi europei si richiede il 50 per cento”. Però poi ci vorrebbe una legge per rendere queste regole vincolanti per tutti. “No: a quel punto basterebbe che il Garante ratificasse soltanto i codici di autoregolamentazione di settore che si conformano all’accordo interconfederale. E che dove non si conformano il Garante stesso emani in via sussidiaria la disciplina conforme”. Non è una proposta troppo utopistica? “Sarà anche utopistica. Ma è l’unico modo in cui il sistema delle relazioni industriali può riaffermare il proprio ruolo, la propria autonomia; e l’arma dello sciopero può riacquistare il prestigio perduto, e così anche la propria efficacia: perché uno sciopero ridotto a routine, squalificato agli occhi dell’opinione pubblica, è comunque sempre perdente”, conclude Ichino.