AGI - Un nuovo “risveglio digitale” sta attraversando alcune comunità religiose negli Stati Uniti, dove pastori e sviluppatori di app di preghiera stanno sperimentando l’uso dell’intelligenza artificiale (IA) per raggiungere i fedeli, personalizzare le omelie e persino dare voce a chatbot che simulano il linguaggio di Dio, di angeli o di personaggi religiosi.L’obiettivo dichiarato è rendere le chiese più vicine a comunità sempre più online, con banchi meno affollati e un pubblico abituato a cercare risposte sullo smartphone. Ma la tendenza solleva interrogativi profondi: chi – o che cosa – sta davvero guidando il “gregge”?Le app che simulano il contatto divinoNegli ultimi mesi sono nate diverse applicazioni che promettono di far “chattare con Gesù” o “parlare con la Bibbia”, dando l’impressione di dialogare direttamente con una figura divina o con un messaggero celeste. Altre app generano preghiere personalizzate, aiutano gli utenti a “confessare” i propri peccati od offrono consigli spirituali per affrontare le decisioni della vita quotidiana.Usi pratici dell’intelligenza artificiale nelle parrocchieNon tutti però sono convinti che questa sia la strada giusta: Robert P. Jones, amministratore delegato del Public Religion Research Institute, sottolinea i rischi di affidare ad algoritmi una parte così delicata dell’esperienza di fede. Accanto alle sperimentazioni più controverse, molte comunità stanno usando l’IA in modo più pratico e “terreno”: chatbot che rispondono alle domande frequenti dei parrocchiani su orari delle funzioni, iniziative ed eventi, software che analizzano i dati di partecipazione alle messe e agli incontri per calibrare meglio la comunicazione, strumenti di gestione che aiutano a pianificare bilanci e attività.Il confine etico: l’IA e il dialogo con i defuntiLa vera frattura, però, si apre quando l’intelligenza artificiale viene usata per dare l’illusione di un contatto diretto con un potere superiore o con persone defunte. È il caso, ad esempio, della Dream City Church di Phoenix, dove il pastore Luke Barnett ha fatto ascoltare ai fedeli un messaggio generato dall’AI “interpretando” le parole di Charlie Kirk dopo la sua morte. Barnett ha spiegato ai presenti di essersi a lungo interrogato sull’opportunità di condividere pubblicamente quell’esperimento, sostenendo che “tutto ciò che fa l’AI è prendere la pienezza delle parole di un uomo e rispondere a una domanda come lui risponderebbe”. Poi ha fatto ascoltare un minuto di audio in cui la voce artificiale di Kirk assicurava che la sua “anima è al sicuro in Cristo” e invitava i fedeli a “asciugare le lacrime, prendere la propria croce e tornare a combattere”.La critica teologica e il valore della relazione umanaQuesto tipo di utilizzo inquieta molti leader religiosi, come il reverendo Jennifer A. Reddall, vescovo della diocesi episcopale dell’Arizona, che considera l’uso dell’IA per “parlare” con i morti una forma di fuga dalla realtà. “Come cristiana, non posso credere nella resurrezione senza credere anche nella morte”, spiega, indicando il rischio di banalizzare l’elaborazione del lutto con surrogati digitali. Reddall riconosce però che gli strumenti di intelligenza artificiale possono avere lati positivi: nella sua Chiesa è stato creato un gruppo di lavoro incaricato di studiare come e fino a che punto utilizzare queste tecnologie in modo etico e coerente con la dottrina. C’è però una frontiera che lei non intende varcare: “Non mi vedrete usare ChatGPT per scrivere un sermone”, afferma. Perché, in ultima analisi, per Reddall nessuna tecnologia può sostituire la relazione umana al centro dell’esperienza religiosa: “La verità è che l’IA non può tenerti la mano. L’IA non può amarti. L’IA non può avere una relazione con Dio”.