“Ogni volta che arriva la lettera dello screening la infilo nel cassetto. Mi dico che la aprirò domani. Poi passa una settimana, a volte un mese, e alla fine la butto via. Non è che non creda nella prevenzione… è che ho paura. Paura di sentirmi dire qualcosa che non voglio sapere”. Federica, 54 anni, descrive una sensazione che molti vivono senza dirlo. Non è disinteresse: è la paura di scoprire qualcosa di negativo. Negli Stati Uniti questa dinamica ha un nome, FOFO, “Fear Of Finding Out”. Anche in Italia, pur senza un’etichetta ufficiale, si intravede nella rinuncia agli esami di prevenzione.FOFO significa evitare controlli non per mancanza di tempo o di possibilità economiche, ma per il timore di una diagnosi. Un meccanismo emotivo che combina ansia anticipatoria, paura delle conseguenze pratiche e, talvolta, esperienze mediche negative. A breve termine tranquillizza, ma nel tempo espone a diagnosi tardive. Il Time ha raccontato come questa “paura di scoprire” sia oggi fra le ragioni citate da chi salta mammografie, Pap test o screening delle infezioni sessualmente trasmesse.E in Italia si ha meno paura?In Italia il fenomeno emerge nei dati del sistema di sorveglianza PASSI dell’Istituto Superiore di Sanità, che include tra le motivazioni di mancata adesione agli screening anche la voce “paura dei risultati”. È una quota minoritaria, ma stabile nel tempo. In Calabria, in un progetto ISS sullo screening cervicale, questa motivazione era riferita da una parte delle donne non aderenti, accanto a ostacoli organizzativi e alla percezione soggettiva di non bisogno. Una conferma arriva anche dalle indagini di opinione. Una ricerca recente Nomisma-UniSalute mostra che tra chi non fa prevenzione il 14% evita i controlli per paura di ricevere brutte notizie: un dato che intercetta la FOFO in forma chiara.Non c’è solo l’evitamentoA questo scenario emotivo si affianca il quadro aggiornato della copertura degli screening oncologici. Nel 2024, secondo l’Osservatorio Nazionale Screening, mammografia e cervice raggiungono una copertura effettiva intorno al 50%, mentre il colon-retto resta fermo al 33,3%. Il divario territoriale è netto: per la mammografia si passa dal 54% del Nord al 26% di Sud e Isole; per il colon-retto il Nord arriva al 45,8%, mentre Sud e Isole si fermano al 17,8%. Anche i dati PASSI, considerando tutti i canali (pubblico e privato), mostrano differenze: il 75% delle donne aderisce alla mammografia nei tempi raccomandati, ma nel Mezzogiorno la quota scende al 62%. Secondo una sintesi della Fondazione GIMBE, su dati del 2023, la mancata adesione ha comportato oltre 50mila diagnosi mancate tra tumori e lesioni precancerose, fra mammella, cervice e colon-retto. È dentro questa zona d’ombra che la FOFO diventa una lente utile: non spiega tutto, ma illumina una parte dei comportamenti di evitamento.Alcuni provano imbarazzoLa ricerca psicologica italiana conferma il ruolo delle emozioni. Gli studi di Giulia Scaglioni, ricercatrice in Psicologia Sociale all’Università di Modena e Reggio Emilia, e di Nicola Cavazza, professore ordinario nello stesso ateneo, mostrano che fattori emotivi come paura dell’esito, imbarazzo e disgusto rappresentano barriere significative all’adesione allo screening del colon-retto. I loro lavori, pubblicati su riviste internazionali di psicologia della salute, analizzano in modo sistematico l’associazione tra questi vissuti e la minore partecipazione ai programmi di prevenzione, senza attribuire loro un peso “dominante” rispetto ad altri fattori ma riconoscendoli come elementi che incidono realmente sui comportamenti. “Come psico-oncologa dell’Istituto europeo oncologico (IEO) posso confermare che, in effetti, la paura del risultato è una delle principali ragioni per cui molte persone evitano gli screening – spiega al FattoQuotidiano.it la dottoressa Florence Didier, psicoterapeuta della Divisione di Psiconcologia dello IEO -. Il timore di scoprire qualcosa sembra più spaventoso dell’esame stesso e quindi accompagnare le persone a riconoscere questa paura aiuta spesso a superarla tendenza e a trasformare il controllo in un gesto di cura e non di minaccia”.L’esperta: “Ha più paura chi ha malattie in famiglia”Dottoressa Didier, quali profili risultano più esposti alla “paura di scoprire”: ci sono differenze per età, genere, livello socioeconomico o area geografica?Nella mia pratica clinica vedo che la paura di scoprire qualcosa può emergere in tutti i profili, ma tende a essere più forte in persone con maggiore ansia di base e minor tolleranza ‘all’incertezza’ o con esperienze di malattia in famiglia, indipendentemente da età, genere o area geografica: la paura attraversa tutti, anche se in modi diversi.Da un punto di vista psicologico, cosa distingue la FOFO dalle altre forme di ansia sanitaria e quali strumenti (informazione, counseling, psicoterapia mirata) si sono rivelati più efficaci per affrontarla?“La paura dei risultati (FOFO) si distingue dalle altre forme di ansia legata alla propria salute perché non nasce dal timore dei sintomi o della malattia in sé, ma dal timore di conoscere il risultato e quindi della possibilità di sapere, quindi dall’evitamento cognitivo ed emotivo dell’informazione. Gli strumenti più efficaci sono quelli che aiutano a ridurre l’evitamento: psicoeducazione, gestione dell’incertezza, ristrutturazione dei pensieri catastrofici, tecniche di regolazione dell’ansia e, quando utile, un breve percorso di supporto psicologico focalizzato sulla decisione”.Interventi per ridurre l’ansia da screeningInfine, quali interventi concreti potrebbero aiutare le persone a superare la paura della diagnosi e a partecipare agli esami che potrebbero proteggerne la salute, soprattutto nelle aree del Paese dove la copertura degli screening è più bassa?“Sul piano informativo è utile comunicare in modo semplice e realistico i benefici della diagnosi precoce, riducendo il linguaggio allarmistico e aumentando l’informazione e la chiarezza sui percorsi. In ambito relazionale e organizzativo funziona decisamente il contatto umano. Si può quindi pensare di organizzare eventi informativi utilizzando i social media, ampliare le conferenze in ospedale con inviti al grande pubblico. E proporre gratuitamente incontri di counseling breve per sensibilizzare la popolazione alla prevenzione, con l’utilizzo della rete di associazioni di pazienti sul territorio in quanto figure di riferimento e grande risorsa a livello social con testimonial locali. Sicuramente si può facilitare l’accesso agli screening con inviti personalizzati, ambulatori mobili nelle città, specie nelle aree con minore copertura”.L'articolo “Ogni volta che arriva la lettera dello screening la infilo nel cassetto”, anche in Italia si diffonde la FOFO. Le cause? “Il divario territoriale e il timore di scoprire qualcosa sembra più spaventoso dell’esame stesso” proviene da Il Fatto Quotidiano.