Essere Marie Davidson in un mondo di clown

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C’è chi se la ricorda per il suo “Work it”, una canzone all’apparenza sulla performatività capitalista, ma che svolta improvvisamente in un “lavora su te stesso”. Una “Working Class Woman”, titolo del disco del 2018, ma anche filosofia che permea la produzione di Marie Davidson, artista franco-canadese che si esibirà in tour in Italia per due date, il 18 novembre al Locomotiv di Bologna e il 19 al Biko di Milano per presentare il suo quarto disco “City of Clowns”.Ve lo raccontiamo attraverso anche le sue parole, in questa recensione/intervista.Un viaggio sonoro che attraversa techno, spoken word, synth-pop e suggestioni industriali per raccontare le contraddizioni più brucianti del presente. È questo il cuore del nuovo album, realizzato insieme ai Soulwax e a Pierre Guerineau, storico compagno creativo nei progetti Essaie Pas e L’Œil Nu. Da post-adolescente cresciuta con la musica dei Soulwax, la prima domanda è ovvia: in City of Clowns ti hanno aiutato a riempire tuo stile. Com’è stato collaborare con i fratelli Dewaele?MD: “Lavorare con Dave e Steph è comunque divertente. Sono intelligenti, hanno uno stile fantastico e un ottimo senso dell’umorismo. Ma mi piace pensare che il mio stile sia una cosa tutta mia, ho sempre avuto uno stile distintivo e un modo singolare di fare le cose. Non ho bisogno dell’aiuto di nessuno quando si tratta di creare l’ethos di una canzone, loro mi hanno aiutato molto a pompare il suono del disco, se è questo che intendi, proprio come ha fatto Pierre Guerineau. La produzione di “City of Clowns” è stata uno sforzo collettivo di noi quattro. Abbiamo lavorato bene insieme.”Il risultato è un lavoro che interroga senza filtri la cultura digitale, il capitalismo della sorveglianza e la costruzione dell’identità pubblica nell’era dell’iper-visibilità.(Ecco il nuovo lavoro di Maria Davidson; continua sotto)City of Clowns contiene molte dichiarazioni. Credo che, data l’attuale situazione globale, essere un artista non dovrebbe essere separato dal coinvolgimento sociale. Cosa ti ha portato ai concetti di questo album?MD: “Innanzitutto, ho preso una lunga pausa dalla musica e dall’industria musicale. Poi ho iniziato a fare la dj (prima suonavo solo dal vivo) e sono tornata a fare musica suonando prima quella di altri artisti. Ho ritrovato l’interesse per la musica elettronica, dopo una fase in cui non ne ero più così attratta. Mentre mi esercitavo nel djing, ho letto “The Age Of Surveillance Capitalism” di Shoshana Zuboff e questo è stato il fattore principale che mi ha portato ai concetti di questo album. Ho ritrovato l’ispirazione per scrivere dopo 2 anni di disinteresse per la composizione. I temi e le idee di questo libro erano così nuovi per me, così potenti e urgenti, che ho sentito un forte impulso a scrivere un nuovo album.”Il titolo stesso dell’album diventa una metafora della nostra epoca: la maschera come identità, il paradosso come linguaggio quotidiano, la performance come condizione esistenziale. “Most people have a clown inside of them…”, confessa la voce ipnotica di Davidson nel singolo d’apertura, dando il ritratto preciso del mondo contemporaneo, in cui ogni individuo è al tempo stesso attore e spettatore della propria immagine.Chi sono i clown di cui parli?MD: “Mi riferisco ai tanti tipi di clown che troviamo nel nostro mondo. I clown tristi, i clown divertenti, i burloni, gli imbroglioni, i disadattati, le persone che vivono ai margini della società. Mi riferisco anche ai clown cattivi, alle forze malvagie del mondo: i guerrafondai, i politici corrotti, i fascisti, la cultura degli influencer e tutto ciò che mina l’accesso all’istruzione, alla conoscenza e alla libertà di parola“.“Fun Times” è un brano giocoso in cui, nuovamente, l’ironia è uno strumento che da voce a uno statement: una donna non deve necessariamente trovare la sua identità nella natura di madre. Fun Times parla dell’essere donna. Il tempismo, nella vita delle donne, è un costrutto sociale molto convincente, e tu lo smantelli abilmente con la tua attitudine. MD: “Donna è una parola che mette ancora a disagio le persone, me compresa. È stato un lungo percorso per me accettare la mia femminilità. In generale, le persone sono molto più a loro agio con il termine ragazza. “È una ragazza simpatica”, “è una ragazza forte”, “è una ragazza cattiva”. Quando usiamo la parola donna, riconosciamo che la persona di cui stiamo parlando sta invecchiando o è già invecchiata. Che la persona in questione sta maturando. L’invecchiamento può essere molto spaventoso per le donne, perché una parte della società ti trasmette il messaggio che non avrai più importanza. Ovviamente non è vero, è solo un marchio. Quando ho scritto “Fun Times”, ho accettato la mia femminilità per la prima volta nella mia vita, ho deciso che mi sarei divertita. È la prima traccia con un testo che ho scritto per “City of Clowns” e mi ero impegnata a divertirmi di nuovo nella mia pratica musicale e nella mia vita personale. È stata una svolta, ho dovuto chiedermi: “Mi lascio morire o invecchiare con amarezza, o inizio a vivere la mia vita come voglio, ogni fottuto giorno?”. Ripensandoci (grazie alla tua domanda), ne è valsa la pena!“Parli della gentilezza come di una qualità fuori moda. Essere gentili oggi significa essere degli outsider?MD: “Non ne sono sicura, è una bella domanda. Ho notato che in generale le persone non danno molto valore alla gentilezza. Alcuni la considerano qualcosa di normale, qualcosa che bisogna fare per essere una brava persona, altri la vedono come un segno di debolezza. Viviamo in un mondo competitivo, molte persone sono orgogliose di essere le numero uno. Hai notato che molte canzoni contengono le parole “numero uno”? Non mi interessa. Credo nell’empatia. Ecco perché in “Work It” dico “tutti insieme”.L’analisi sulla propria identità è strettamente collegata alla tecnologia e a come non solo la percepiamo, ma come lei percepisce la nostra esistenza. Sempre con un escamotage di ribaltamento del punto di vista, Demolition è una sensuale dichiarazione di potere da parte dell’intelligenza artificiale sulla nostra volontà. A tutti gli effetti noi crediamo di dare delle regole, quando siamo noi quello sfruttati per le informazioni di cui si nutre. “Push me fuckhead“ è una interrogazione su quanto possiamo essere spinti al limite dalle tecnologie e la distopia in cui nemmeno ci accorgiamo di vivere: dobbiamo completare puzzle e fare un click per verificare che non siamo robot, mentre questi hanno già preso tutto ciò che di migliore abbiamo, i nostri pensieri, la nostra arte, le nostre immagini, per offrirceli a pagamento un tanto al mese.Demolition è una canzone molto sensuale che parla dell’intelligenza artificiale che ci vuole per i nostri dati. Anche Push me fuckhead esplora la realtà distopica in cui viviamo. In un momento in cui il dibattito sull’IA è predominante, qual è la tua opinione sulla persistenza dell’arte personale e sulla sostituzione delle persone sul lavoro da parte dell’IA?MD: “Ho paura che l’IA prenda il sopravvento sul posto di lavoro. Non tanto per me stessa, ma per le migliaia e milioni di persone che dipendono dal loro lavoro per sostenersi. Persone che hanno studiato per anni per scoprire di essere sostitutibili dai robot. Non c’è NESSUN vantaggio in questo. I ricchi e le aziende tecnologiche ti diranno che renderà la nostra vita più facile, ma è una bugia. Renderà sicuramente la vita più facile ad alcune persone, ma non a tutti. Per quanto riguarda l’arte, però, non sono così preoccupata. Per me, gli esseri umani sono ancora i migliori nel fare arte e creare contenuti poetici e stimolanti. Non sono contraria all’uso dell’intelligenza artificiale nell’arte, l’ho fatto io stessa con l’artista multidisciplinare Christopher Royal King (noto come @totalemotionalawarness per i visual), penso solo che funzioni bene solo quando è curata da esseri umani. L’arte ha bisogno di coinvolgimento emotivo e spirituale“.“I stick with the weirdos”, afferma in Y.A.A.M, e forse essere fuori dall’omologazione al giorno d’oggi è la carta vincente, badando a esserlo realmente, e non soltanto a proclamarlo, indossando una maschera. D’altronde siamo tutti un po’ pagliacci, chi si prende sul serio e chi ha la forza invece di ironizzare sul presente e anche su se stesso. E la Davidson ne dà prova, in un disco che è techno ma anche politica sociale: perché è vero che la musica deve fare ballare, ma può anche essere strumento di decostruzione di un mondo popolato sempre più da clown – che però non fanno ridere più nessuno.The post Essere Marie Davidson in un mondo di clown appeared first on Soundwall.