Oggi ha cinquantaquattro anni ma da ben venti Daniela Moretti, laureata in Lingue, due figlie e con un lavoro in una grande azienda di telecomunicazioni, si reca, due o tre volte alla settimana, alla Scuola di Lingua e Cultura di Sant’Egidio, a Trastevere, a Roma, scuola di cui oggi è anche la responsabile organizzativa. “La scuola è nata che io ancora andavo alle medie”, racconta, “era il 1982 e iniziavano ad essere presenti primi gruppi di migranti a Roma, soprattutto donne capoverdiane. Subito Sant’Egidio intuì che la lingua era la chiave dell’integrazione. Insegnare la lingua è una forma di adozione, dico io, insegni a parlare come si fa con un figlio. Ed un’attività che mi dà grandissime soddisfazioni”.I migranti? Ci ricordano il valore della pace e della democrazia. Di scuole di lingua italiana, a Roma, Sant’Egidio ne ha oggi ben 20. Quella di Trastevere è la più grande, “l’anno scorso si sono iscritte 3.600 persone di nazionalità diverse. Abbiamo aperto 44 corsi di lingua di vari livelli”, spiega Daniela, “il che vuol dire che non c’è solo il livello per chi arriva e non sa una parola, ma anche quello per chi vuole conoscere più della nostra cultura o investire nell’apprendimento per la propria professionalità”.Cinquanta i docenti nella sede principale, quasi tutti legati a Sant’Egidio, ma c’è anche chi viene da fuori. La scuola è aperta i pomeriggi, le persone immigrate arrivano dopo il lavoro, e poi soprattutto la domenica. “È tutto gratuito, i docenti non sono retribuiti, l’unica spesa per agli alunni è l’acquisto del libro a poco meno di dieci euro, segno anche di un interesse concreto per la scuola”.La composizione dei corsi è varia. C’è chi, appunto, è da tre giorni in Italia e già è a scuola per imparare la lingua, perché ha capito subito che fa la differenza, e studenti che arrivano fino a livello C1. “La scuola inoltre resta un ambito culturale in cui i migranti si sentono riconosciuti non in quanto categoria migranti, che è riduttiva, ma come persone”, continua Daniela. “Raccontano le loro storie e i motivi per cui sono arrivati: guerre, disastri ambientali, miseria, violenza, assenza di libertà, ricerca di un futuro migliore. Da questo punto di vista ci fanno rendere conto della ricchezza che abbiamo nell’esser nati nel nord del mondo e che spesso qui diamo per scontato. Infatti restano affascinati da un Paese libero, organizzato, con un welfare diffuso, ma anche che si possa circolare sul territorio o per strada senza essere arrestati o colpiti da spari. Insomma, a noi che – anche giustamente – ci lamentiamo di alcune inefficienze pubbliche, ci ricordano il valore della democrazia, della libertà, della pace, che non sono mai dati acquisiti e che purtroppo sono facili da perdere”.Tante nazionalità, tantissima ricchezza. La scuola è anche un polo di cultura. Si fanno gite culturali – “l’anno scorso siamo andati ad Ostia antica e abbiamo visitato la Galleria Borghese” -, perché Daniela e i suoi colleghi sono convinti che far conoscere i monumenti più noti sia parte dell’insegnamento e che non esista lingua senza cultura, “molti non escono mai dai quartieri o dalle case dove lavorano”. Ma a scuola si fa anche educazione civica, si trasmette la cultura della Carta costituzionale, dell’eguaglianza, del rispetto delle regole e del riconoscimento dell’altro, “ad esempio spieghiamo a chi si occupa di anziani come rapportarsi correttamente a loro”. Ci sono anche lezioni su temi particolari di attualità, di storia, o si riflette sull’ingiustizia della pena di morte.“La cosa che più colpisce” racconta la responsabile, “è l’attaccamento dei migranti alla scuola. D’altronde, ci sono anche persone che arrivano da noi senza mai aver visto una scuola, come una donna afghana che ho conosciuto quest’anno. Vengono dopo il lavoro, la domenica, anche se potrebbero riposarsi, perché c’è un entusiasmo incredibile, c’è voglia di imparare e di integrarsi”.Ma in questi lungi vent’anni le cose sono cambiate? E in che modo? “Ciò che davvero mi colpisce”, spiega Daniela, “è la narrazione che si è fatta dei migranti nel corso degli anni. Una narrazione sempre negativa, come se fossero marziani privi degli stessi sentimenti, aspirazioni e sogni che abbiamo noi per noi stessi e le nostre famiglie. Li si descrive come categoria, negando la loro umanità. Ho ripensato spesso all’articolo dello scrittore svizzero Max Frisch sugli immigrati italiani nel suo Paese: “Cercavamo braccia, sono arrivate persone”. E’ tanto vero anche per noi oggi: finché il migrante lavoratore è al suo posto bene, ma chi pensa alla persona?”.Non solo disperazione: anche voglia di fare e speranza. “Quello che mi dispiace anche”, continua Daniela, “è che non si conosce l’incredibile ricchezza di avere persone che vengono da tantissimi paesi del mondo: pensi che il giorno della festa della donna facciamo ad ognuno raccontare qual è il ruolo femminile nel loro paese. Si è perso il gusto dell’altro, viviamo solo in difesa”.Daniela racconta come fare volontariato abbia cambiato anche la sua famiglia, perché “quando uno vive un’esperienza felice contagia anche gli altri. E quando uno fa qualcosa per gli altri, suo malgrado, diventa migliore e anche le persone che gli stanno intorno; tra l’altro si condividono poi storie ed amicizie, perché con alcuni migranti siamo amici da tanti anni, ci conosciamo trascorriamo insieme le Feste come il Natale, si creano legami, cadono gli schemi della propaganda”.Ma c’è un altro aspetto fondamentale che si impara insegnando alle persone migranti (e vivendo con loro). “I migranti hanno una povertà temporanea: alcuni arrivano qui disperati, ma è gente con tantissima energia e capacità di affermarsi; nel giro di qualche anno si sistemano, chi lavora, chi studia, chi crea una famiglia. Fanno tristezza alcuni aspetti, come la burocrazia micidiale che li vessa e che spesso li costringe ed andarsene, privando l’Italia di tante energie. Ma dobbiamo ricordarci, e alla scuola lo impariamo ogni giorno, che è anche gente piena di forza, voglia e speranza, un sentimento fortissimo che li caratterizza: e in un Paese e un continente che invecchiano, ce n’è davvero bisogno”, conclude Daniela.L'articolo Daniela e la Scuola di Sant’Egidio: “Insegniamo l’Italia ai migranti contro la propaganda che nega la loro umanità” proviene da Il Fatto Quotidiano.