Europa, svegliati: il pacifismo non è un vezzo, è un dovere

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di Gianvito Pipitone –Abbiamo sostenuto la scelta dell’Ucraina di resistere. Abbiamo appoggiato lo slancio solidale dell’Unione Europea. Abbiamo persino accolto, con quella punta di ipocrisia ormai familiare, la decisione di non entrare direttamente nella guerra fratricida tra gli epigoni della deflagrazione post-sovietica.E sì, abbiamo condannato, e continuiamo a farlo, i crimini dell’esercito russo alle porte di Kiev, Mariupol, Zaporizhzhia. Lo abbiamo fatto cercando, con ostinazione discreta, di schivare la propaganda che arriva da entrambe le direzioni. Senza dimenticare, certo, quanto accadde nel Donbass nel 2014, e senza fingere che la storia cominci sempre dove ci fa comodo.Di fronte a questa guerra terribile nel cuore del continente, ci eravamo rassegnati, le spalle incurvate come chi si prepara a un lungo inverno. Confidando in una schiarita, in un chiarimento in corso d’opera, in una resipiscenza reciproca. Sapevamo che ogni giorno, su quel fronte, cadono bombe. Sapevamo che la guerra non è un videogioco, né una simulazione di intelligenza artificiale.Eppure, alle soglie del quarto anno di brutale conflitto, con scarse o trascurabili tracce di una vittoria netta da una parte o dall’altra, ci ritroviamo con una sensazione sgradevole: non solo la carneficina non è cessata, ma il conflitto rischia di sfociare in una terza guerra mondiale. E, cosa più surreale, senza che la politica qualificata a decidere delle nostre sorti, mi riferisco ai vertici dell’Ue, abbia mai dato l’impressione di aver tentato seriamente uno spiraglio verso la pace.Il 19mo pacchetto di sanzioni contro la Russia, varato dalla Commissione europea, su iniziativa della presidente Ursula von der Leyen, con il supporto dell’alto rappresentante Kaja Kallas, a fronte di ammonimenti tiepidi contro Israele (due pesi due misure), ci consegna uno scenario che, se non tragico, è quantomeno paradossale.Avevamo accolto con sollievo l’ascesa di Friedrich Merz in Germania, ex BlackRock, come argine all’estrema destra di AfD. Ci eravamo rallegrati per il ritorno dei democratici di Donald Tusk in Polonia, sperando in una pausa dalla muscolarità dei fratelli Kaczyński. E avevamo tirato un sospiro anche in Romania, dove il fronte riformista aveva prevalso sulle destre filorusse.Insomma, ci eravamo illusi, con Macron e Starmer, di un’Europa tornata al buon senso. Un continente capace di coltivare la ragionevolezza, e dunque la pace. Secondo i principi del pacifismo europeo post-seconda guerra mondiale. O, più semplicemente, secondo logica.E invece?Macron, alle prese con una Francia in ebollizione, decide di spingere sull’acceleratore bellico. Per distrarre il suo elettorato, forse. E propone al dandy inglese di indossare l’uniforme, imbracciare il fucile e marciare verso il Donbass. È successo appena prima dell’estate.Proposta caduta nel vuoto, certo. Ma non così nel vuoto da non risvegliare l’istinto della vecchia volpe britannica. Gli inglesi – babbioni sì, ma con pedigree – da Churchill in poi nutrono una diffidenza viscerale per l’Orso russo, salvo poi affidare a capitali offshore il cuore immobiliare e finanziario della City. Ma questa è un’altra storia, insieme al capitolo del sistema bancario più discreto d’Europa.Ed ecco la new entry del circolo: il cancelliere Merz, quello abbronzato. Sfruttando il colpo di mano del piano Rearm Europe, presentato dalla Commissione per rafforzare le capacità militari dell’UE con un investimento fino a 800 miliardi di euro, nemmeno gli sembra vero di poter rimettere sul campo la fila di soldatini di stagno, riposta nel cassetto più profondo del magazzino teutonico. Tornare a parlare di Bundeswehr, Luftwaffe, Ramstein nella cara vecchia Germania è davvero singolare. E inquietante.Così i tre campioni della democratica Europa, insieme alla democratica Ursula von der Leyen, si preparano alla guerra. Avviano esercitazioni sul fianco est. E non passa giorno senza digrignare i denti, provocando l’Orso russo, impegnato, o assorbito, dal “fratello” ucraino. Ma che, per sua natura bestiale, se viene, non ci pensa due volte a portarsi via l’arnia con tutto il cucuzzaro.Nel frattempo, si scoprono cose. I droni russi deviati dall’Ucraina non erano diretti in Polonia. E forse non c’era alcuna provocazione. Ma questo all’Europa di Von der Leyen non interessa. Si continua a varare pacchetti di sanzioni e a digrignare i denti, provocando in tutti i modi possibili.A completare il quadro, il governo e la politica estera italiana, che si muove tra l’indolenza di un barboncino da salotto, nei contesti ufficiali internazionali, e gli scatti nervosi di un chihuahua che abbaia come non ci fosse un domani appena qualcuno in patria gli calpesta la punta della coda. Leggi: quando qualcuno osa far notare le contraddizioni. Una coreografia che mostra la mancanza di una strategia seria.Surreale che contro questa politica della guerra si muovano poche voci democratiche di sinistra, a casa nostra. E che, per difendere il punto della pace, siano rimasti, unico baluardo e certamente per affinità elettive, a Matteo Salvini. E, incredibile dictu, l’ex parà della Folgore, il comandante Vannacci. Quello della Decima Mas. Un mondo davvero al contrario.E infine, nel capovolgimento totale a 360 gradi, la cosa più surreale di tutte: che quasi quasi bisognerà sperare nell’intervento pacificatore del futuro premio Nobel per la pace, Donald Trump (chi l’avrebbe mai detto) noto compagno di merende di Putin, a salvarci da una sicura guerra mondiale.Come quando da bambini, bullizzati nel cortile, ci portavamo dietro il fratello maggiore, a sua volta bullo per appianare le cose. Solo che stavolta i due capi bulli, esasperati dal contesto incendiario, potrebbero lasciarsi prendere la mano. E se Putin porta suo fratello maggiore… poi sì che saranno guai.Nell’incertezza che regna sovrana, una cosa pare certa: è ora che questa Europa torni a casa. Prima di subito.Oppure, per dirla ancora con von Clausewitz, è tempo che la politica torni a parlare con mezzi propri. Prima che la guerra smetta di essere la sua continuazione, e diventi la sua unica voce.