Festival di Open, la crisi umanitaria di Gaza raccontata dagli operatori sul campo. L’infermiera di MSF: «Tutto è diventato un bene primario»

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La crisi umanitaria in corso sulla Striscia di Gaza è stata al centro di un panel organizzato al Festival di Open, con testimonianze dirette di operatori sul campo e attivisti. Un dibattito guidato dalla vicedirettrice di Open Sara Menafra, che ha portato al pubblico non solo i dati drammatici dell’emergenza, ma anche storie di resistenza e tentativi e speranze di convivenza. Martina Paesani, infermiera di Medici senza Frontiere, ha descritto la gravità delle condizioni igienico-sanitarie a Gaza: «La principale emergenza è l’apporto nutritivo di acqua. Senza questa anche una persona tendenzialmente sana si ammala: epatite A, poliomielite nei bambini… Serve poi una rete idrica e fognaria che eviti contaminazioni. Poi ci sono i malati cronici e i feriti: immaginiamo un diabetico senza insulina, o un paziente che non può nemmeno ricevere una medicazione post-operatoria. Qui tutto ormai è diventato un bene primario». Una fotografia che conferma il collasso del sistema sanitario, incapace di garantire cure di base a una popolazione stremata. Ma l’operatrice ha voluto sottolineare il suo desiderio di tornare a Gaza e la resilienza e resistenza della popolazione.«I bambini traumatizzati a Gaza sono un milione»Andrea Iacomini di Unicef ha puntato, a più riprese, i riflettori sul trauma dei più piccoli sulla Striscia di Gaza: «Oggi i bambini traumatizzati sono un milione. Si svegliano di notte, piangono senza motivo, hanno reazioni fisiche fortissime. Non doveva morire neanche un bambino, né palestinese né israeliano, neanche uno». Le sue parole hanno reso tangibile la dimensione psicologica della guerra, spesso relegata in secondo piano rispetto ai dati su feriti e morti. In collegamento dalla nave di Emergency, a supporto della Global Sumud Flotilla, la giornalista Silvia Boccardi ha raccontato le sfide logistiche e politiche per far arrivare gli aiuti umanitari: «Non è un’operazione facile: i porti di Gaza non esistono più, sono stati bombardati. Anche i pescatori non possono più navigare in acque controllate da Israele. Il nostro obiettivo è far arrivare aiuti, ma la risposta israeliana è stata chiara: l’equipaggio verrà trattato come terrorista. A tutte queste persone in mare deve andare stima».La testimonianza di un’attivista palestineseIl programma ha poi dato spazio a storie di dialogo e convivenza. L’attivista palestinese Reem Al-Hajajreh, presidente di Women of the Sun, associazione indipendente di donne palestinesi che opera in Cisgiordania e a Gaza, ha portato la sua testimonianza in un’intervista condotta da Alessandra Mancini. Un racconto di lotta pacifista che dimostra come, nonostante la violenza, esistano realtà impegnate a costruire ponti. «Parliamo sempre di pace, ma oggi è diventata una parola vuota, un cliché. Le persone addirittura ne ridono. Ma per i palestinesi, la pace non è un lusso, né un sogno. È un bisogno urgente, vitale. Oggi abbiamo bisogno più che mai della vera pace. Ne abbiamo bisogno come dell’aria, come dell’acqua», ha affermato l’attivista palestinese. «La nostra terra è una terra di pace, ma non l’ha mai conosciuta davvero».L'articolo Festival di Open, la crisi umanitaria di Gaza raccontata dagli operatori sul campo. L’infermiera di MSF: «Tutto è diventato un bene primario» proviene da Open.