Salvini indebolito, Meloni resta forte. Il Pd? Non è pronto a governare. Parla Palano

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Il pratone, più che verde vira sempre più sul nero. Come le magliette in memoria di Charlie Kirk. A Pontida Matteo Salvini ha provato a rilanciare la propria immagine, ma la Lega appare sempre più distante dalle sue radici e sempre più vicina alla destra radicale. Intanto il premier Giorgia Meloni, pur con un consenso più ridimensionato rispetto all’avvio di legislatura, mantiene saldamente il timone, anche grazie alla sua capacità di tenere insieme alleati e collocazioni internazionali apparentemente inconciliabili. Sul fronte opposto, il Partito democratico vive una tensione crescente non solo tra la linea di Elly Schlein e l’anima riformista radicata nei territori, ma anche all’interno della corrente che fa capo a Stefano Bonaccini. Molti dem gli imputano troppa “morbidezza” verso la virata sempre più marcatamente gauchista della segretaria nazionale. Per capire come si muovono gli equilibri politici anche in vista delle imminenti regionali, Formiche.net ha parlato con Damiano Palano, politologo e direttore dell’Aseri.Professore, partiamo proprio da Pontida. Che cosa ci ha detto davvero la kermesse leghista?La Lega di oggi è sempre più distante dalle sue origini e sempre più vicina alle formazioni della destra radicale. La leadership di Salvini appare indebolita: non soltanto per il sostegno incerto di parte dei territori, ma anche perché sta emergendo una figura alternativa, il generale Vannacci. Per ora Salvini lo utilizza come strumento per contenere le resistenze interne, ma in prospettiva Vannacci potrebbe rivelarsi un comprimario difficile da controllare.In questo quadro, che impatto ha il posizionamento di Salvini che per certi versi appare antitetico a quello dell’esecutivo sul piano internazionale?Salvini si propone come oppositore interno alla linea della premier, ma non da oggi. Cerca di difendere un’identità autonoma, altrimenti rischierebbe di scomparire. Va detto però che Meloni è stata finora capace di tenere insieme elementi molto eterogenei, da Vox in Spagna alla presidente von der Leyen. Tuttavia, ritengo sia difficile che questa ambiguità possa reggere a lungo, ma nel breve periodo resta una carta vincente.E a livello interno, come giudica lo stato della leadership di Meloni, che anche dal palco di Fenix ha rivendicato i risultati traguardati dal suo governo?La narrazione della premier non è più così efficace come due anni fa: gli elettori non sono più soddisfatti o ottimisti come allora. La situazione economica e sociale non è florida. Tuttavia, anche se il governo non gode di grandi consensi, la leadership di Meloni resta salda. Non vedo rischi immediati che possano metterla in discussione.Sul fronte opposto, il centrosinistra può trovare uno slancio dalle prossime regionali?Sì, le possibilità ci sono. Le regionali potrebbero rappresentare un’occasione di rilancio per il centrosinistra. Ma non significherebbe che la strada verso le politiche sia spianata. Dopo il voto, anzi, è probabile che si aprano vertenze interne al Pd anche piuttosto pesanti.Il nodo a sinistra resta sempre la premiership con Giuseppe Conte che scalpita, oltre al fatto che, figure come Paolo Gentiloni, sostengono che non esista realmente un’alternativa al centrodestra.  Non credo che Giuseppe Conte possa essere la figura giusta per guidare una coalizione di centrosinistra. Allo stesso modo, Elly Schlein, pur avendo visibilità, non ha l’esperienza di governo necessaria né un profilo adeguato per Palazzo Chigi. Il Partito democratico oggi non ha una squadra pronta a governare l’Italia.Eppure nei territori il Pd sembra esprimere una vitalità diversa. È vero. I candidati riformisti alle regionali mostrano che l’area riformista del Pd resta forte e consolidata sui territori. Ma questo mette in luce una divaricazione netta con la linea di Schlein. È una tensione sempre più evidente, destinata a crescere dopo le regionali e che potrebbe segnare profondamente il futuro del partito.