di Giuseppe Gagliano – La chiusura totale dei valichi di frontiera tra Polonia e Bielorussia segna un salto di qualità nella strategia di Varsavia e, per estensione, dell’Unione Europea. Non si tratta solo di un gesto politico o di un atto di ritorsione verso Minsk e Mosca per le esercitazioni Zapad-2025: è la trasformazione di un corridoio commerciale chiave in un terreno di confronto strategico.Varsavia ha deciso di interrompere sia il traffico stradale sia quello ferroviario, colpendo un canale che muove circa 25 miliardi di euro l’anno di merci tra Europa e Cina. Per la Polonia si tratta di una scelta di principio: la difesa dei confini e la tutela della popolazione vengono prima di ogni valutazione economica. È un messaggio che la Commissione Europea ha fatto proprio, pur mantenendo un tono cauto per non apparire critica verso uno Stato membro che da anni è in prima linea contro la pressione migratoria e le minacce ibride provenienti da Minsk.La Commissione ha preferito presentare la chiusura come una conseguenza inevitabile della “guerra brutale e illegale” della Russia, ribadendo che ogni problema commerciale sarà affrontato in un secondo momento. In sostanza, l’UE accetta di pagare il prezzo economico pur di mostrare coesione politica e sostegno alla Polonia.La chiusura è un duro colpo per la rotta ferroviaria euroasiatica, che nel 2024 aveva registrato una crescita a due cifre. Per colossi come Temu e Shein, che si servono di questo corridoio per consegne rapide, si tratta di un problema serio. Tuttavia, come hanno fatto notare gli analisti del Center for Eastern Studies, il volume complessivo del commercio resta limitato rispetto al traffico marittimo. Più che un disastro economico, è un segnale politico: il commercio può essere sacrificato se diventa una vulnerabilità strategica.Il tempismo della decisione non è casuale. Donald Trump, impegnato a rafforzare la campagna di pressione sulla Cina per il suo sostegno a Mosca, può solo trarre vantaggio da questa chiusura. L’ex capo dell’intelligence estera polacca Piotr Krawczyk ha suggerito che Washington non sia affatto dispiaciuta: la sospensione della rotta ferroviaria indebolisce le catene di approvvigionamento cinesi e, di fatto, agisce come un “dazio naturale” che favorisce il traffico marittimo gestito anche da compagnie occidentali.In questo senso, la mossa polacca allinea ancora una volta Varsavia agli interessi strategici degli Stati Uniti, rafforzando il ruolo del Paese come principale avamposto NATO sul fianco orientale.Le aziende polacche e bielorusse pagano il prezzo immediato. Circa 10.000 autisti bielorussi sono bloccati, i carichi di beni essenziali sono fermi e PKP Cargo avverte che una chiusura prolungata devierà il traffico verso rotte più lunghe e costose, passando per Kazakistan, Mar Caspio e Turchia. Il paradosso è che la chiusura arriva pochi giorni dopo l’inaugurazione simbolica del primo treno merci Varsavia–Cina, segno delle ambizioni della Polonia come hub logistico.Il caso del confine polacco-bielorusso dimostra che l’Europa è entrata in una fase di “securitizzazione” del commercio: le logiche della supply chain globale non sono più intoccabili. Da Nord Stream al corridoio ferroviario, ogni infrastruttura che passa vicino a Mosca o Minsk viene vista come potenziale arma ibrida. Questo approccio trasforma l’UE in un attore geopolitico, ma rischia anche di spingerla verso una dipendenza ancora maggiore dalle rotte marittime e dai porti del Nord Europa, rafforzando l’asimmetria a danno dei Paesi mediterranei.Molto dipenderà dalla durata della chiusura. Se il blocco resterà in vigore per mesi, Pechino potrebbe cercare di aumentare la pressione diplomatica e spostare parte del traffico su rotte alternative, consolidando i collegamenti attraverso Kazakistan e Russia meridionale. Per l’Europa, questo significherebbe una perdita di centralità nella Nuova Via della Seta e un maggior costo per le imprese.Per ora Bruxelles sceglie di restare in silenzio, dimostrando che la priorità è politica e non economica: un sacrificio che ha il sapore di una nuova fase di guerra economica, nella quale le merci diventano strumenti di deterrenza e i corridoi commerciali campi di battaglia.