I Brics, l’Eurasia e la ritirata delle democrazie. La sfida all’Occidente letta da Violante

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Il mutamento dello scenario internazionale comporta la necessità di investire la società civile dei mutamenti geopolitici, del crescere delle politiche di potenza e del rapporto tra questi mutamenti e i valori della democrazia. Dopo la fine della Guerra fredda avevamo due certezze: l’inarrestabilità del processo di occidentalizzazione del mondo e la conseguente inarrestabilità del processo di democratizzazione del mondo. Occidentalizzazione voleva dire democratizzazione. Entrambe le certezze ora stanno franando.Tra il 22 e il 24 ottobre 2024, a Kazan (a 800 chilometri a Est di Mosca) si sono riuniti i 36 Paesi del gruppo Brics, animati da una forte motivazione antioccidentale. Non si tratta di Paesi marginali; in base alle valutazioni del Fondo monetario internazionale, il blocco Brics supera il G7 in quattro parametri critici: in termini di Pil, misurato sulla parità di potere d’acquisto, il blocco detiene ora una quota del 35,6% rispetto al 30,3% dei Paesi del G7; sul versante energetico, dopo la recente inclusione degli Emirati Arabi Uniti, il gruppo controlla il 41% della produzione mondiale di petrolio, rispetto al 29% del G7; sostanziale è anche il contributo alla crescita economica, perché il blocco ora rappresenta il 44% della crescita globale, rispetto al 20% del G7; il dato demografico aggregato rappresenta infine il 45% della popolazione mondiale, superiore al 30% del G7.A Pechino dal 31 agosto al primo settembre scorsi  si sono riuniti i Paesi del cosiddetto Sud del Mondo, circa 30 paesi (Cina, India, Russia, Pakistan, Iran, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan, Bielorussia e altri 16 Paesi affiliati come osservatori o partner di dialogo). Anche a Pechino è stata esplicitata una ferma linea antioccidentale a guida russa e cinese;  si è inoltre raggiunto un accordo  sul proposito di redigere la Carta di un continente che hanno chiamato Eurasia; in tale contesto, il Medioriente è chiamato Asia Occidentale e quindi i confini di questo nuovo continente giungerebbero al Mediterraneo.I due vertici, quello di Kazan e quello di Pechino, hanno confermato che l’Occidente  nel mondo è in minoranza numerica, economica e politica. Per la democrazia le cose non vanno meglio. La democrazia è in netta retrocessione nel mondo: solo il 20% della popolazione mondiale vive oggi in un regime democratico. Qualche decennio fa era il 60%.  Tony Blair, nel suo ultimo libro, On Leadership,racconta che un paio di decenni fa, quando visitava un Paese che non era una democrazia, il leader si affrettava a spiegare che il Paese non era ancora pronto per una trasformazione democratica, ma che ci sarebbe comunque arrivato. La democrazia era comunque un traguardo. Oggi, spiega Blair, i leader di Paesi non democratici, se sono di mentalità aperta, non disprezzano la democrazia, ma la mettono in discussione per la difficoltà di prendere decisioni e di attuarle.Le quattro forme di autoritarismo contemporaneo più vicine ai nostri attuali interessi (Trump, Netanyahu, Hamas e Putin), diverse l’una dall’altra, sono caratterizzate da un fortissimo retroterra religioso: esplicitamente biblico nel caso di Trump e Netanyahu, islamico nel caso di Hamas,  assolutistico e preilluiminista in quello di Putin. Per la dottrina russa, esposta con grande spregiudicatezza da Seghiei Kagaranov nel Codice dell’Uomo Russo, la Russia e il suo governo sono investiti di una missione particolare davanti a Dio. Viene citata come guida una frase di von Munnich, comandante dell’esercito russo a metà Settecento: “La Russia è direttamente governata dal Signore nostro Dio. Altrimenti sarebbe impossibile comprendere come mai questo Stato esista ancora”.  Questo forte retroterra religioso, per quanto discutibile ai nostri occhi, conferisce alle opzioni politiche di Trump, Putin, Netanyahu e Hamas un orizzonte che ha un impatto fortemente motivazionale e non sottoponibile a critiche. Ogni questione politica è subordinata ad una questione teologica; l’obbedienza a Dio vale più di ogni altro principio, anche nel campo politico.La democrazia invece sta perdendo, per un eccesso di secolarizzazione, la propria carica emotiva. Sta perdendo la capacità di convincere. Ha perso, per usare un linguaggio di altri tempi, la propria spinta propulsiva. Per cominciare a cambiare le cose è necessario che la nuova strategia della sicurezza e della difesa entri nelle corde della società civile ed è necessario far comprendere ai cittadini la stretta correlazione tra difesa,  sicurezza e democrazia; se non ci fosse sicurezza, non ci sarebbe neanche la democrazia. Forse, proprio questa correlazione può dare alla democrazia quella voce che oggi è troppo flebile e priva d’anima.