di Daniela Binello – L’omicidio in pubblico del fervente attivista Maga, Charlie Kirk, alla Utah Valley University di Orem, è solo l’ultimo di una lunga serie di atti di violenza orchestrati contro esponenti di entrambi gli schieramenti, vuoi degli ambienti repubblicani o democratici, capaci di far parlare dell’inclinazione americana per l’intolleranza verso ogni diversità di pensiero. L’omicidio di Kirk è avvenuto in un luogo simbolo della contrapposizione ideologica anche molto aggressiva: l’università.Ricordiamoci che questo succede in America, si potrebbe dire anche abbastanza spesso, e non è affatto la stessa cosa del clima che si respira in Europa o in Italia, anche se a volte alcune manifestazioni studentesche, negli scontri con le forze dell’ordine, possono essere sfociate qui da noi in episodi di provocazione fisica.L’omicidio di Charlie Kirk, per mettere a tacere definitivamente la sua riconosciuta capacità d’incidere sulle giovane menti, in quanto fondatore dell’organizzazione giovanile della destra americana Turning Point Usa, mette in evidenza le divisioni che tormentano la società americana e che, se ne prenda atto, non soddisfano affatto il primo obiettivo della Costituzione statunitense che è quello di: «Formare un’unione più perfetta». L’unione più perfetta probabilmente non esiste e non ci sarà mai nella Federazione di Stati a stelle e strisce che ancora oggi riserva un trattamento discriminatorio verso alcuni segmenti della sua popolazione, come per gli afroamericani e quelle altre comunità che “non ce l’hanno fatta” a salire di rango. Uno status che per un americano significa diventare, dal punto di vista del portafoglio, membro della comunità benestante.Prima dell’assassinio di Charlie Kirk, ci sono stati il tentato omicidio dei membri del congresso Steve Scalise (2017) e Gabby Giffords (2011), ma più recentemente, due esponenti democratici della legislatura statale del Minnesota sono stati aggrediti con armi da fuoco ed è stata uccisa la deputata Melissa Hortman del Partito Democratico e suo marito Mark ed inoltre è stato ferito un altro parlamentare, il senatore John Hoffman, insieme alla moglie. Le sparatorie sono avvenute a Brooklyn Park, un comune alla periferia di Minneapolis.Anche il presidente Donald Trump, l’anno scorso, è stato bersaglio di due tentativi di assassinio in pubblico e in aprile la casa del governatore della Pennsylvania, Joshua David Shapiro, è stata data alle fiamme. Poi, sempre quest’anno, un uomo, spinto da rancore personale, è stato accusato di aver ucciso un alto dirigente di una compagnia di assicurazioni sanitarie. Non sfuggirà che molti di questi drammatici accadimenti sono anche stati commentati sui social a favore degli assassini, con parole di disprezzo verso le vittime. Una parte in tutto questo i social ce l’hanno eccome, perché alimentano quel brodo di coltura sempre più tossico che incoraggia a demonizzare gli avversari politici.La domanda che dovrebbe porsi la società americana è: siete consapevoli di stare camminando sull’orlo del burrone?Un’accurata ricerca sociologica nell’Ohio ha fatto emergere, attraverso le risposte da parte degli intervistati, i loro problemi di sfiducia. «Non mi fido di nessuno» ha risposto la maggior parte del campione. Quelle persone vedevano il loro ambiente come un luogo in cui non si poteva contare su nessuno. Le origini di questa sfiducia? Molti la facevano risalire alla loro disgregazione familiare e ai luoghi di lavoro in cui si sentivano sfruttati e troppo facilmente “fired” (licenziabili). Con questi pensieri cupi si vive inevitabilmente in preda alla paura e in una qualche forma d’isolamento sociale e per autodifendersi si può arrivare a ritenere di spostare la propria posizione personale verso gli estremi ideologici.Nelle università statunitensi vige la stessa ossessione per la competizione che caratterizza la società americana in tutti i campi, come quello del lavoro e del successo personale basato sul portafoglio. Molti giovani universitari hanno paura di dire quello che pensano, temono di perdere gli amici o essere giudicati dai professori. Le divisioni politiche riguardano tutto, Palestina e Israele, Trump o i democratici, il baseball o il basket. Rivelare la propria opinione è a rischio di finire su Instagram o su TikTok, venendo ridicolizzati e anche insultati. Così molti restano in silenzio, covando rabbia e frustrazione. In questo modo, qualcuno a volte crede che la violenza sia l’unico espediente per farsi finalmente ascoltare e “lasciare un segno” di sé.La politica americana attuale è muscolare, spinge a una dimostrazione di forza. Storicamente, quando Abraham Lincoln si candidò alla presidenza, insistette con fermezza sul fatto che, sebbene la schiavitù fosse un male, coloro che la sostenevano erano in generale brave persone. Il conflitto d’interessi tra Nord e Sud in politica era inevitabile, ma Lincoln sperava di poter ristabilire una connessione sociale e una familiarità culturale tra le due parti, osservando in un discorso elettorale di avere avuto la fortuna di sposare una donna del Sud. Il tentativo fallì: il processo di polarizzazione era ormai troppo avanzato e la schiavitù un problema troppo radicato. Tuttavia, Lincoln aveva ragione nel ritenere che solo un forte senso di fratellanza tra americani avrebbe potuto evitare la guerra e la stessa violenza politica che un giorno gli avrebbe tolto la vita. Fu proprio riconoscendo questa realtà che Martin Luther King guidò un movimento nonviolento per riaffermare la comunione sociale e spirituale americana, anche nel mezzo di un movimento per i diritti civili in cui gli interessi materiali e politici del Sud bianco e degli afroamericani (e dei liberali in altre aree del Paese) erano chiaramente in contrasto. Anche Martin Luther King cadde vittima della violenza politica ma, come dimostra il suo lascito, la sua idea politica di riconciliazione era orientata nella giusta direzione. «Non cerchiamo di sconfiggere o umiliare l’avversario, ma di conquistare la sua amicizia e comprensione», insegnava Martin Luther King. Questo generò un cambiamento culturale che è durato nel tempo.La violenza politica, tuttavia, è una costante della storia statunitense. Oggi la violenza deriva da una vera e propria crisi di convivenza fra parti troppo diverse fra loro, che praticano l’intolleranza. È un morbo che sta fagocitando l’America. Rispetto al passato, negli ultimi trent’anni gli americani sono diventati più depressi, più soli, più affetti da dipendenze di vario tipo. Molti giovani parlano solo con chi condivide le loro stesse opinioni, cosa che determina il loro orientamento politico. La tragedia degli Stati Uniti di oggi è che vedono un nemico interno dappertutto. Non tanto la Cina o la Russia, bensì chi vota per l’altro partito. E ogni schieramento accusa l’altro d’incarnare quel nemico oscuro. Molti americani si sono convinti che se vincono le elezioni i tuoi avversari, perderai il tuo stile di vita e anche il tuo status. Ma continuando su questa brutta china gli Usa andranno alla deriva, correndo il rischio di andare a sbattere.