Le misure economiche dei governi, quando sono di un certo rilievo, diventano subito questioni giuridiche, cioè relative alla legittimità dell’azione governativa. A loro volta, quest’ultime chiamano in causa problematiche ancora più sostanziali legate alla tenuta stessa del sistema democratico e alle sue regole. La decisione di Trump di introdurre delle tariffe doganali reciproche del 2 aprile 2025 è un buon esempio di questa catena di effetti. Oggi gli Usa sono ancora un Paese democratico o sono diventati una delle grandi economie autoritarie e dispotiche, come India e Cina?Guardando all’economia si direbbe di sì, anche se c’è ancora la possibilità di invertire questa deriva autoritaria. La decisione finale spetterà alla Corte Suprema, la Corte Costituzionale americana, ultimo baluardo della sempre più fragile democrazia americana.Quando le ultime tariffe doganali vennero introdotte nel 1930, le cosiddette tariffe Smoot-Hawley dal nome dei due parlamentari proponenti, 1.024 economisti firmarono un appello per la loro revoca, mettendone in evidenza i danni per l’economia americana. Ora l’appello non c’è stato, ma penso che il 99,99% degli economisti non possa che giudicare senza senso e sbagliate le tariffe reciproche di Trump. Lo 0,01% rimanente sono i suoi consiglieri economici, ben remunerati in vario modo, ritengo. Ma il punto non è questo. Piuttosto la questione riguarda la legittimità giuridica, cioè lo strumento giuridico attraverso il quale i dazi sono stati introdotti, e poi quella democratica.Il Presidente Trump aveva di fronte a sé, per rintrodurre i dazi, due possibilità: quella ordinaria e quella emergenziale di sua nuova invenzione. La prima consisteva nell’applicazione dell’art. 232 del Trade Expansion Act del 1962. La norma prevede che il Presidente possa imporre dei dazi nel contesto della difesa degli interessi economici nazionali. Questi dazi devono essere preceduti da un’indagine conoscitiva che può durare fino a 270 giorni. Questa è stata la procedura seguita anche dal primo Trump per imporre i dazi sull’acciaio e sull’alluminio. Quindi un iter complesso e lungo. La novità del secondo Trump consiste nell’applicazione del ben diverso Ieepa, acronimo per l’International Emergency Economic Powers Act del 1977, che dà al Presidente il potere di intervenire d’urgenza di fronte ad una minaccia che proviene al di fuori degli Usa. I nuovi dazi di Trump trovano qui il loro (incerto) fondamento giuridico.All’inizio, cioè a febbraio, Trump aveva indicato nell’ingresso illegale dei migranti negli Usa e nel commercio del fentanyl le minacce e l’urgenza per introdurre i dazi nei confronti di Messico, Canada e Cina. In aprile l’urgenza ha cambiato corso e il pericolo imminente è stato individuato nella necessità di ridurre il disavanzo commerciale.Le piccole imprese danneggiate dai dazi e alcuni Stati hanno fatto subito ricorso contestando l’uso dell’Ieepa, che non menzionava neppure le tariffe doganali, ottenendo delle sentenze favorevoli. Il 28 maggio si è pronunciato contro i dazi, ai sensi dell’Ieepa, il tribunale commerciale di primo grado. L’Amministrazione Trump ha fatto ricorso, ma una seconda bocciatura è arrivata in appello. In poche parole, secondo i giudici non si può usare uno strumento emergenziale nelle normali trattative commerciali. La strada maestra è quella di passare attraverso il Congresso. Ma è appunto il potere legislativo che Trump vuole bypassare per esercitare il suo potere in maniera chiaramente autoritaria.L’emergenza del commercio internazionale per i giudici non esiste. In primo luogo perché gli Usa da almeno 50 anni hanno una bilancia commerciale in passivo. Quindi non è un fatto nuovo. Poi a guardare bene i dati, il disavanzo della bilancia commerciale è appena il 4% del Pil americano, non un valore da scuotere l’economia. Anche se il tribunale di secondo grado ha bocciato seccamente l’applicazione della decretazione d’urgenza, tuttavia ha lasciato in vigore i dazi fino a metà ottobre, per dare la possibilità di fare ricorso, cosa che è prontamente avvenuta.Nella memoria presentata, gli avvocati di Trump hanno aggiunto un ulteriore e curioso argomento. L’eliminazione dei dazi e la loro restituzione non sarebbe possibile perché ciò causerebbe un grave danno alle casse pubbliche americane. Argomentazione evidentemente pretestuosa, e quasi imbarazzante, visto che fino a febbraio i dazi non esistevano.La questione dei dazi passa ora alla Corte Suprema che dovrà decidere i limiti del potere esecutivo, e quindi definire il nuovo perimetro della democrazia americana nell’epoca del sovranismo trumpiano. Due tribunali si sono già espressi, ora tocca al terzo, quello definitivo, composto da 9 giudici di cui 6 conservatori, con tre nominati da Trump stesso. Finora la Corte Suprema ha giocato la partita di Trump rovesciando, a favore dell’Amministrazione, molte decisioni dei tribunali inferiori. Ma erano questioni, per così dire, secondarie. Ora stanno arrivando al pettine i problemi di fondo dell’aggressione trumpiana alla democrazia. Toccherà ai supremi giudici riportare il sistema democratico americano alla normalità, fuori da ogni urgenza inventata, seguendo l’esempio delle corti inferiori.In Brasile la Corte ha fatto il suo dovere condannando l’eversivo ex presidente Bolsonaro. Speriamo che anche quella Usa lo faccia, limitando fortemente il potere del non meno eversivo Donald Trump.L'articolo Alla Corte Suprema l’ultima parola sui dazi di Trump: così si dovrebbe invertire la deriva autoritaria proviene da Il Fatto Quotidiano.