L’Europa si va dissolvendo e la Cina ne approditterà. L’ultimo allarme di Draghi

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Un anno. Volato via, quasi senza accorgersene. Eppure sono passati 365 giorni, giorno più, giorno meno, da quando Mario Draghi ha messo sul tavolo della Commissione europea il suo ormai mitologico rapporto, chiesto dalla stessa Bruxelles nel tentativo di risollevare le sorti del Vecchio continente. Sprofondato, non è certo un mistero, in una sorta di pantano fatto di immobilismo e pochi investimenti. Sono mesi che l’ex presidente della Banca centrale europea va predicando ai quattro venti che così non si può andare avanti, che la Cina preme sempre di più ai confini e che di questo passo l’Europa sparirà, un po’ come i ghiacciai: semplicemente dissolvendosi.PRIMA CHE SIA TROPPO TARDIBisogna agire subito, senza ripensamenti, consci del fatto che per fare quello che Draghi chiede e raccomanda, servono 800 miliardi di euro. Impossibile ricorrere alle finanze nazionali, serve ovviamente l’emissione di debito comune. Concetto che i tedeschi, tanto per fare un esempio, hanno cominciato a masticare proprio in questi mesi. Ma, comunque, non un compito facile in un continente dove i nazionalismi prendono sempre più piede, dove la logica del chi fa da sé fa per tre appare ormai sovrana e conclamata. “L’Europa si trova in una situazione più difficile. Il suo modello di crescita si sta dissolvendo, le vulnerabilità stanno aumentando e non c’è un percorso chiaro per finanziare gli investimenti di cui abbiamo bisogno. E come ci è stato dolorosamente ricordato, questa inazione minaccia non solo la nostra competitività, ma anche la nostra stessa sovranità”, ha messo subito in chiaro Draghi, nel corso del suo intervento per l’anniversario, a Bruxelles, per la presentazione del suo rapporto.LA SFIDA DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE“Ci sono tre aree di cui serve più ambizione in Europa su innovazione e sviluppo. La prima è rimuovere le barriere al rafforzamento delle nuove tecnologie, consentendo alle imprese innovative di operare, commerciare e raccogliere i finanziamenti presso i 27 Stati membri, così come in altre giurisdizioni e per questo il cosiddetto “28º regime deve diventare una realtà”, ha argomentato l’ex premier. “La seconda area di intervento è una delle richieste più chiare che arriva dalle imprese ed è è quella di una semplificazione radicale del Gdpr”, il Regolamento Ue sulla tutela dei dati. E non solo a livello generale ma anche rispetto a normative e regolamenti attuativi ulteriori che vengono aggiunte dagli Stati membri. “L’incertezza su questo versante sta creando costi e ritardi e sta rallentando lo sviluppo dell’Intelligenza Artificiali in Europa”. Secondo Draghi il solo Gdpr ha fatto salire “i costi dei dati per le imprese Ue a circa il 20% in più rispetto alle concorrenti Usa”.La terza area di azione è “l’integrazione verticale dell’Intelligenza Artificiale nell’industria: le applicazioni di IA sono perfino più importanti delle capacità sui supercomputer e qui l’Europa ha un vero vantaggio: le sue aziende detengono metà del mercato globale delle soluzioni di automazione. Eppure solo il 10% dei manifatturieri lo scorso anno hanno utilizzato l’Intelligenza Artificiale. Industria e Stati devono lavorare assieme per mettere questo al cuore delle soluzioni europee e la strategia Apply IA che la Commissione europea presenterà quest’autunno sarà un banco di prova”.SUSSIDI E CONCORRENZA, QUALCOSA NON VAAltro tema, il ruolo dei finanziamenti all’economia. Cosa che in Cina è la prassi, ma in Europa no. In un mondo in cui gli Stati “utilizzano ogni strumento a loro disposizione per sostenere i loro interessi e in cui la linea di demarcazione tra economia e sicurezza si fa sempre più sfumata, l’Europa deve rivedere il suo atteggiamento su sostegni pubblici e aiuti di Stato, smettendo di cadere in due trappole: sforzi nazionali non coordinati tra loro e ceca fiducia che le forze di mercato creeranno nuovi settori”.Da un lato, muovendosi in ordine sparso i Paesi della Ue non riusciranno mai a raggiungere le economie di scala necessarie per alcuni settori. Ed è semplicemente “impossibile” alle forze di mercato creare nuovi segmenti quando “altri Paesi distorcono la concorrenza”. Invece “dobbiamo costruire la capacità di difenderci e sostenere le pressioni su settori chiave come difesa, industria pesante e le tecnologie che disegneranno il futuro”, ha detto Draghi. Il quale ha anche qui, come sull’innovazione, offerto un approccio a tre livelli. Il primo riguarda il coordinamento sugli aiuti di Stato, che spesso agiscono come misure protezionistiche piuttosto che puntare a costruire industrie europee capaci di competere a livello globale. E non senza spese rilevanti: nel 2023 i paesi dell’Ue hanno stanziato circa 190 miliardi di euro sugli aiuti di Stato. Secondo Draghi bisogna focalizzarsi sui progetti rilevanti di interesse comune europeo (Ipcei), che ricevono solo una frazione di questi interventi pubblici.Il secondo livello di intervento è quello degli acquisti pubblici congiunti (Pubblic procurement). Qui c’è un grosso potenziale ad esempio su difesa, microprocessori, servizi legati all’intelligenza artificiale e tecnologie verdi per la siderurgia. L’Ue ha avviato dei lavori ma i dettagli restano “indefiniti”. Il terzo settore di intervento è rappresentato dalle politiche sulla concorrenza. Settori come difesa e aerospazio, assieme a tutte le tecnologie a uso dualistico “sono molto diverse da quelle dei mercati del consumo. In questi casi il consolidamento non è per forza un danno agli utenti. Può essere un modo per fare più leva su ricerca e sviluppo, abbassare i costi, accelerare l’innovazione e focalizzare i bilanci”.L’AGONIA DELL’AUTOPoi c’è l’altro grande guaio, l’auto. E qui il regalo alla Cina è servito. “Sul settore dell’auto nell’Unione europea attenersi rigidamente all’obiettivo del 2035 (sulle emissioni di Co2, ndr) potrebbe rivelarsi irrealizzabile e rischia di consegnare quote di mercato ad altri, soprattutto alla Cina”. Secondo Draghi la prossima revisione del regolamento sulle emissioni di CO2 “dovrebbe seguire un approccio tecnologicamente neutrale e fare il punto sugli sviluppi di mercato e tecnologici”. Inoltre serve “un approccio integrato” sui veicoli elettrici, che copra catene di approvvigionamenti, infrastrutture e potenzialità dei carburanti a zero emissioni di carbonio. “Nei prossimi mesi, il settore automobilistico metterà alla prova la capacità dell’Europa di allineare regolamentazione, infrastrutture e sviluppo delle catene di fornitura in una strategia coerente per un’industria che, non dimentichiamolo, impiega oltre 13 milioni di persone lungo l’intera catena del valore”, ha ricordato.La scadenza Ue del 2035 per emissioni nette a zero “era pensata per innescare un circolo virtuoso: obiettivi chiari avrebbero stimolato gli investimenti nelle infrastrutture di ricarica, ampliato il mercato interno, spronato l’innovazione in Europa e reso i modelli elettrici più economici. Si prevedeva che le industrie”, come su batterie e microprocessori si sarebbero sviluppate in parallelo. “Ma non è avvenuto” e l’installazione dei punti di ricarica dovrebbe accelerare “di 3-4 volte nei prossimi cinque anni per raggiungere una copertura adeguata. Il mercato dei veicoli elettrici è cresciuto più lentamente del previsto. L’innovazione europea è rimasta indietro, i modelli restano costosi e la politica delle catene di fornitura è frammentata. Di fatto  il parco auto europeo di 250 milioni di veicoli sta invecchiando e le emissioni di CO2 sono calate appena negli ultimi anni”. Il piatto è servito.