AGI - Avere "fame e sete" di giustizia, come raccomanda il Vangelo, "equivale a essere consapevoli che essa esige lo sforzo personale per interpretare la legge nella misura più umana possibile". Lo ha ricordato Papa Leone incontrando in piazza San Pietro migliaia di operatori giudiziari da numerosi paesi, presente il ministro Nordio che guidava la delegazione italiana. Si tratta, ha spiegato il Pontefice, di un anelito "che può trovare compimento solo in una giustizia più grande, trascendente le situazioni particolari". Da qui l'invito a "riflettere anche su un aspetto della giustizia che spesso non è sufficientemente focalizzato: ossia sulla realtà di tanti Paesi e popoli che hanno fame e sete di giustizia, perché le loro condizioni di vita sono talmente inique e disumane da risultare inaccettabili".Secondo il Papa, quindi, all'attuale panorama internazionale andrebbero applicate quelle che egli considera "sentenze perennemente valide", ovvero che "senza la giustizia non si può amministrare lo Stato; è impossibile che si abbia il diritto in uno Stato in cui non si ha vera giustizia. L'atto che si compie secondo diritto si compie certamente secondo giustizia ed è impossibile che si compia secondo il diritto l'atto che si compie contro la giustizia". In questo contesto, Leone ha ribadito che "lo Stato, in cui non si ha la giustizia, non è uno Stato. La giustizia infatti è la virtù che distribuisce a ciascuno il suo" e va esercitata "con lo sguardo rivolto a Dio, cosi' da rispettare pienamente la giustizia, il diritto e la dignità delle persone"."Per il credente - ha insistito Papa Prevost - la giustizia dispone a rispettare i diritti di ciascuno e a stabilire nelle relazioni umane l'armonia che promuove l'equità nei confronti delle persone e del bene comune". Un obiettivo, ha detto, "che si rende garante di un ordine a tutela del debole, di colui che chiede giustizia perché vittima di oppressione, escluso o ignorato".Nel suo discorso, in proposito il Pontefice ha citato i tanti episodi evangelici nei quali l'azione umana è valutata da una giustizia capace di sconfiggere il male del sopruso, come ricorda l'insistenza della vedova che induce il giudice a ritrovare il senso del giusto. Ma anche una giustizia superiore che paga l'operaio dell'ultima ora come quello che lavora tutto il giorno; o quella che fa della misericordia la chiave di interpretazione della relazione e induce a perdonare accogliendo il figlio che era perduto ed è stato ritrovato, o ancora di più di perdonare non sette volte, ma settanta volte sette. È la forza del perdono che è propria del comandamento dell'amore a emergere come elemento costitutivo di una giustizia capace di coniugare il soprannaturale all'umano".La giustizia evangelica, dunque, ha concluso il Papa, "non distoglie da quella umana, ma la interroga e ridisegna: la provoca ad andare sempre oltre, perchè la spinge verso la ricerca della riconciliazione. Il male, infatti, non va soltanto sanzionato, ma riparato, e a tale scopo è necessario uno sguardo profondo verso il bene delle persone e il bene comune. Compito arduo, ma non impossibile per chi, cosciente di svolgere un servizio più esigente di altri, si impegna a tenere una condotta di vita irreprensibile".