AGI - Dopo una lunga riunione del cda di Mediobanca, durata quasi 5 ore, si è dimesso, come era atteso, l'amministratore delegato Alberto Nagel e tutti i consiglieri, con una eccezione. "Preso atto dell'esito" dell'opas di Mps e "per favorire un'ordinata e tempestiva transizione attraverso il rinnovo dell'organo amministrativo, hanno rassegnato, con l'eccezione del consigliere Sandro Panizza", candidato dall'azionista Delfin, "le dimissioni dalla carica, con efficacia dalla data della prossima assemblea degli azionisti", si legge nella nota presa nota al termine della riunione, che sarà convocata per il prossimo 28 ottobre, quando sarà sancito il passaggio di consegne a un board di fatto espressione del nuovo azionista di controllo: Monte dei Paschi di Siena. È l'atto finale di una vicenda che ha segnato gli equilibri della finanza italiana e che si chiude con l'accettazione, seppur forzata, della realtà: la storica banca d'affari di Piazzetta Cuccia non è più indipendente, ma una controllata senese. Durante la mattinata l'ad ha inviato una lettera d'addio ai suoi dipendenti ringraziandoli per il lavoro straordinario fatto insieme. "Vi attendono ora nuove sfide che, ne sono certo, sarete pronti a superare stando uniti e preservando quella cultura e diversità che vi rendono unici. Cosi' come sono certo che la nuova proprietà della Banca - si legge - non potrà prescindere dal valorizzare il vostro non comune patrimonio di professionalità. E ricordatevi di quanto scrisse Orazio: 'Graecia capta ferum victorem cepit'. Non potrò mai ringraziarvi abbastanza per avermi dato il privilegio di lavorare con voi". La storia della scalata parte da lontano. A gennaio Mps aveva reso pubblica la volontà di lanciare un'offerta su Mediobanca, un progetto che si è concretizzato il 3 luglio scorso con la pubblicazione del Documento di Offerta, approvato da Consob il giorno precedente. Si trattava di un'Ops totalitaria da 13,3 miliardi di euro, inizialmente basata solo sullo scambio di azioni, poi via via ritoccata con l'introduzione di una componente in contanti - trasformandola in un'Opas - e l'abbassamento della soglia minima di adesione per garantirne il successo. Un'operazione fin dall'inizio definita dal consiglio di Mediobanca come ostile e non concordata, priva di razionale industriale e, soprattutto, non conveniente per i soci di Piazza Cuccia. Le parole usate l'11 luglio, quando il board bocciò formalmente l'offerta, erano inequivocabili: "corrispettivo non congruo e del tutto inadeguato". Nonostante la resistenza, le settimane successive hanno segnato un progressivo indebolimento delle difese. Azionisti storici come Delfin e Caltagirone hanno aperto alla possibilità di consegnare le proprie quote, erodendo il fronte di chi difendeva l'indipendenza. Parallelamente Mps ha ritoccato più volte le condizioni, fino a raccogliere adesioni superiori al 60% del capitale. Un traguardo che ha trasformato Mediobanca in una preda di fatto conquistata, mettendo il CdA di fronte all'evidenza che l'indipendenza non era piu' difendibile. Il consiglio guidato da Renato Pagliaro, con l'amministratore delegato Alberto Nagel, aveva provato a giocare d'anticipo nei mesi scorsi, valutando alleanze e operazioni capaci di rafforzare Piazza Cuccia contro il rischio di scalate. Tra queste il tentativo, rimasto senza esito, di acquistare Banca Generali da Assicurazioni Generali: una mossa che avrebbe permesso di consolidare il wealth management, cuore della strategia disegnata da Nagel negli ultimi anni. L'operazione non è però decollata. Oggi si chiude cosi' un capitolo lungo quasi ottant'anni, nel quale Mediobanca ha avuto un ruolo decisivo negli equilibri del capitalismo italiano.