di Emanuele Molisso –Il presidente Usa Donald Trump ha costantemente presentato gli Accordi di Abramo come il pilastro centrale della sua strategia per il Medio Oriente, sin dall’inizio del suo primo mandato nel 2016. La sua amministrazione ha promosso gli accordi come uno degli strumenti necessari a stabilizzare la regione, incoraggiando gli Stati arabi a normalizzare le relazioni con Israele. Gli accordi sono stati chiamati così, in onore del patriarca Abramo, una figura fondamentale sia per l’ebraismo sia per l’Islam, caricando gli accordi di un simbolismo, il quale rifletteva il quadro che Trump immaginava per la regione. La firma degli accordi è arrivata il 15 settembre 2020, in una cerimonia sul South Lawn (il sud della Casa Bianca) alla quale hanno partecipato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, il ministro degli Esteri degli Emirati Abdullah bin Zayed al-Nahyan e il ministro degli Esteri del Bahrein Abdullatif bin Rashid al-Zayani.Cinque anni dopo, durante la sua seconda presidenza, gli sviluppi recenti hanno rafforzato l’intenzione di Trump di espandere gli accordi. Il cessate-il-fuoco mediato dagli Stati Uniti nel conflitto di Gaza deve essere letto in quest’ottica, con lo stesso presidente che ha ribadito di volerlo utilizzare per ampliare gli Accordi di Abramo, descrivendo la tregua come un momento di slancio politico per la diplomazia regionale di Washington. Per molti diplomatici arabi, lo stile non convenzionale di Trump e la sua precedente disponibilità a fare pressione su entrambe le parti, lo rendono una potenziale risorsa in un momento di paralisi. Questo ha portato diversi diplomatici di diversi stati arabi a spingere Trump a fare pressione su Israele per un cessate-il-fuoco, vedendo in lui una rara figura che potrebbe mediare la stabilità regionale.Questo contesto ha plasmato l’incontro di Trump con il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman alla Casa Bianca, il 18 novembre 2025. Il principe ereditario ha ricevuto un’accoglienza ufficiale che includeva un sorvolo di F-35, segnalando l’importanza che Washington attribuiva alla visita. Durante la riunione, Trump ha dichiarato che gli Stati Uniti intendono vendere gli stessi aerei da caccia stealth F-35 all’Arabia Saudita secondo condizioni simili a quelle già offerte a Israele, visto che nella visione di Trump, entrambi i paesi meritano di avere quel tipo di aereo nell’arsenale del loro paese.Trump e Mohammed bin Salman hanno anche esplorato una collaborazione ampliata in materia di sicurezza, accordi nucleari civili e grandi piani di investimento. Il principe ereditario ha affermato che l’Arabia Saudita intende aumentare gli investimenti negli Stati Uniti a quasi 1 miliardo di dollari. In cambio, Trump ha detto che avrebbe sostenuto la designazione dell’Arabia Saudita come principale alleato al di fuori della NATO, mentre i funzionari statunitensi e sauditi hanno confermato di star studiando la possibilità di un patto di difesa reciproca.Un grande progresso nella normalizzazione tra Arabia Saudita e Israele, tuttavia, rimane incerto. Mohammed bin Salman ha più volte ribadito al presidente Trump che l’Arabia Saudita è disposta a unirsi agli Accordi di Abramo, ma solamente nel momento in cui, una volta ristabilita la pace a Gaza, si riuscirà a trovare una via chiara e ben definita per una soluzione a due Stati. Il principe saudita ha ribadito questo aspetto dato l’impatto del conflitto sull’opinione pubblica saudita.Strategicamente, gli accordi firmati cinque anni prima, hanno riorganizzato le dinamiche regionali. Hanno aperto canali per commercio, turismo, cooperazione energetica e partnership tecnologiche che prima erano impossibili. Hanno anche contribuito a formalizzare i legami di sicurezza emergenti tra Israele e diversi stati del Golfo, in particolare sulla condivisione di intelligence e sul contrasto all’influenza iraniana. Allo stesso tempo, gli accordi hanno attenuato l’isolamento diplomatico di alcuni attori regionali e hanno permesso a Washington di approfondire i legami con partner che un tempo erano considerati politicamente controversi. Per gli Stati Uniti, gli accordi servono da leva: un quadro per costruire coalizioni e orientare la sicurezza regionale in una direzione più prevedibile.Non è un caso che questi fattori siano stati ben visibili a partire dal mese di settembre di quest’anno, poiché i leader di Arabia Saudita, Siria, Turchia e Qatar hanno tutti organizzato visite ufficiali a Washington per colloqui con Trump, evidenziando la centralità continua dell’influenza degli Stati Uniti nella regione. La guerra a Gaza ha messo in luce che né la Cina né la Russia hanno eguagliato il peso diplomatico degli Stati Uniti in Medio Oriente. I leader regionali continuano a guardare a Washington su questioni di guerra e pace. Per Trump, gli accordi restano un ben definito marchio politico. Offrono un risultato concreto che può essere messo in evidenza nei dibattiti interni e usato per sottolineare la pretesa della sua amministrazione di efficacia diplomatica.Questa posizione di forza statunitense è la premessa della prossima conferenza organizzata dagli Stati Uniti, il prossimo 16 dicembre a Doha, in Qatar, ove con i paesi partner (si aspettano funzionari da 25 paesi), gli Stati Uniti hanno intenzione di discutere della pianificazione di una Forza Internazionale di Stabilizzazione (IsF) per Gaza.Il fatto che gli Stati Uniti stiano guidando una conferenza multilaterale a Doha racchiude un principio simile a quello degli Accordi di Abramo: i rapporti diplomatici non si limitano più ad Israele – palestinesi, ma includono attori regionali e globali per gestire sicurezza collettiva e cooperazione.