di Giuseppe Gagliano –L’elezione di José Antonio Kast alla presidenza del Cile non è un semplice cambio di governo. È un passaggio simbolico e politico che segna la fine definitiva dell’equilibrio costruito in Cile dopo la transizione post-Pinochet. Per la prima volta da decenni, l’elettorato cileno consegna il potere a una destra che non sente più il bisogno di giustificarsi, né di mimetizzarsi dietro formule centriste. Kast vince perché intercetta una domanda di ordine, sicurezza e identità in un Paese che, pur restando tra i più prosperi dell’America Latina, percepisce se stesso come fragile e in declino.Il Cile entra così nel mosaico della nuova destra continentale. Kast viene accostato a Trump, Milei e Bukele non per semplice affinità ideologica, ma perché condivide la stessa diagnosi: lo Stato liberale è troppo debole, la società è disgregata, l’élite progressista ha perso il controllo del reale. In questo senso, Santiago non è un’eccezione ma l’ennesima conferma di una tendenza più ampia: l’America Latina non è più il laboratorio della sinistra, ma uno dei terreni più dinamici della reazione conservatrice.Il programma di Kast è lineare, quasi essenziale. Linea dura contro la criminalità, espulsioni dei migranti irregolari, rifiuto dell’ideologia di genere. Temi che parlano meno all’economia e più alla psicologia collettiva. Il paradosso è evidente: il Cile non è un Paese fallito, ma vota come se lo fosse. È la dimostrazione che la politica contemporanea non risponde più tanto agli indicatori macroeconomici quanto alla percezione dell’insicurezza e alla paura di perdere controllo sul proprio spazio sociale.Ed è qui che Kast si distingue da Trump e Milei. Non urla, non provoca, non vive di rottura permanente. Il riferimento a Giorgia Meloni non è casuale: conservatore senza complessi, ma istituzionale; ideologico, ma tatticamente disciplinato. Kast non promette di abbattere il sistema, promette di usarlo. È una destra che ha imparato dagli errori altrui e che punta a durare, non a incendiare.La vittoria di Kast dice qualcosa che va oltre il Cile. Dice che una parte crescente delle società occidentali, e non solo, è pronta ad accettare meno pluralismo in cambio di più ordine, meno diritti simbolici in cambio di più sicurezza percepita. Non è il ritorno delle dittature, ma l’affermazione di governi forti dentro cornici democratiche sempre più strette.Il Cile, un tempo modello del compromesso e della moderazione, diventa così un laboratorio diverso: quello di una destra che non rinnega il passato, ma lo normalizza. E che, proprio per questo, oggi riesce a vincere.