Open Sound: i festival come potrebbero (…e dovrebbero?) essere

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La regola aurea è una sola: c’è spazio per tutti. C’è spazio per tutti, a patto di sapere come e cosa fare, a patto di comportarsi in modo onesto e specchiato verso gli obblighi assunti e i propri collaboratori, a patto di non essere velleitari, a patto di saper sostenere le spese – anche umane ed emotive, non solo economiche – d’impresa. Una volta assodati questi punti di partenza, tutto è possibile, tutto è accettabile: è possibile fare il festival grandi-nomi-grandi-numeri, è possibile fare i festival nelle città come nelle province, è possibile puntare sul mainstream, è possibile puntare sulle nicchie ragionate, è possibile mescolare tutto questo, è possibile inventarsi qualcos’altro ancora.Non neghiamo, però, che un festival come Open Sound è qualcosa che ci piace davvero, ci piace più di altro. Arrivato alla sua settima edizione, e già questo è un bel traguardo, è uno di quei rari festival – soprattutto se si esula dal comparto del jazz, che per certi versi è più avanti di altri, nonostante sia percepito come “vecchio” – che sa combinare territorio, ricerca, tradizione e futuro in modo reale, mettendoci cioè del proprio, rischiando, complicandosi la vita per riuscirci, non solo spendendo quattro facili dichiarazioni in croce nelle conferenze stampa.Open Sound Festival è uno di quei festival pensati, creati e portati avanti da chi crede davvero che un festival sia (anche) un’impresa socialeNegli anni infatti Open Sound Festival ha figliato un sacco di progetti speciali, ha messo in connessione e collisione come pochi altri – forse come nessun altro – la tradizione musicale italiana, chiamiamolo folk, con le menti più aperte e vivaci della nuova musica italiana di taglio elettronico e/o post-qualcosa, e tutto questo lo ha fatto in territori non semplici, dove per anni, anzi, decenni ha regnato una cultura del consumo musicale un po’ statica, stantia, guidata dalla televisione e dal mainstream, a parte qualche eroica meravigliosa resistenza (…e qui ci viene di nuovo da citare il jazz, con lo strepitoso lavoro dell’Onyx Jazz Club, compresa la sua rassegna “Gezziamoci”, che ha superato i quarant’anni di longevità).Alla quantità ed ai nomi roboanti macina-incassi, Open Sound Festival ha sempre preferito un disegno, un ragionamento, una intenzione, e ha fatto molto per creare ponti, riannodare rapporti apparentemente lontani e su dimensioni parallele, recuperare passati e reimmaginare futuri sostenibili. In tanti ormai in Italia sanno fare line up di qualità: l’”intelligenza collettiva” su questo ha fatto passi da gigante, c’è molta più competenza musicale e molta più consapevolezza fra chi inizia a fare il promoter nel mondo “nostro”, a partire dal nuovo millennio, il solco e la semina tracciati da eventi come Dissonanze a Roma o Distorsonie a Bologna ha generato un raccolto di qualità inimmaginabile fino a un paio di decenni fa. Ma fare line up di qualità non è per forza tutto.(Nel 2019, iniziava tutto così; continua sotto)Già. Non è per forza tutto. Perché puoi fare anche una sforzo aggiuntivo: che è quello di provare – a tuo rischio e pericolo, perché su queste cose pubblico e botteghino col cazzo che ti premiano, soprattutto all’inizio – a costruire non solo un’infilata di nomi ma un discorso, non solo una serie di act di pregio ma situazioni insolite, inedite, sperimentali, in grado di creare un ponte fra contesti, stili, visioni, generazioni. In questo Open Sound Festival è meravigliosamente “open” (verrebbe quasi da dire “Open to meraviglia”, non fosse che citare una delle più colossali puttanate mai generate dalla nostra classe politica per promuovere turismo e cultura magari non è il massimo).Lo si capisce ancora meglio da questa speciale edizione invernale 2025, che si svolgerà in due weekend, dal 19 al 21 dicembre a Matera e dal 27 al 28 dicembre a Miglionico (…e sì, probabilmente è una buona idea provare a mettersi in una fase dell’anno dove gli eventi in zona languono, mentre d’estate la vicina Puglia è una delirio di eventi – anche di qualità – uno sopra l’altro). Non un cartellone sterminato e/o prestigiosissimo, ma un cartellone dove metti fianco a fianco Alfio Antico e Bassolino, dove fai suonare Kode9 ma lo fai anche parlare in più di un talk, dove metti insieme il meglio del nuovo pop indipendente italiano (Post Nebbia) con uno dei don mondiali della bass music anglosassone (Leofah), dove dai spazio a progetti di spessore vero come Four To The Dirt e la OSA – Open Sound Academy che davvero mettono in comunicazione territorio, identità, apertura, sperimentazione, dove non mancano workshop ed occasioni d’incontro su dischi particolari o temi specifici.(Uno scorcio della line up di questa edizione invernale 2025; continua sotto)Tutto questo a Matera e Miglionico, non Londra e Berlino, non Milano e Roma. E stavolta anche in un periodo dove puoi contare solo fino ad un certo punto sulla massa critica di turismo attento, colto e gentrificato, il tentativo è più quello di agganciare e coinvolgere chi in certi territori ci vive tutto l’anno o ci torna durante le vacanze estive, per ricongiungersi con famigliari e amici.Open Sound Festival è uno di quei festival pensati, creati e portati avanti da chi crede davvero che un festival sia (anche) un’impresa sociale, e non (solo) un modo frizzante, funzionale e remunerativo per mettersi nel mercato della musica live. Poi oh, ripetiamo, e torniamo al punto di partenza: c’è spazio per tutti. A Soundwall lo abbiamo sempre pensato e sostenuto coi fatti, cercando di coprire il ventaglio più ampio di proposte. Lo abbiamo fatto, lo facciamo e lo faremo: non per paraculismo, ma perché siamo convinti che – tra le altre cose – una delle zavorre del fare impresa nella cultura e nella musica in Italia siano stati steccati e snobismi e la scarsa voglia di fare network e di combinarsi. Ma questo non ci vieta di provare particolare stima per chi costruisce festival atipici e non semplici come Open Sound (o ad esempio il suo quasi omonimo a Ventotene). E, sinceramente, pensiamo che anche voi che ci leggete dovreste iniziare – visto che ormai siete lettori attenti, preparati, esperti – a considerare non solo la bellezza di nomi, luoghi e cartelloni, ma anche la ricchezza delle intenzioni e il modo in cui davvero si cerca di incidere nella cultura di un luogo, sovvertendo soluzioni facili, sovvertendo abitudini, illustrando alternative. (…e la zona ha altri esempi virtuosi: pensiamo a Colligo con la sua destagionalizzazione, al Farm con le sue sorprese anti-speculazione-sull’-hype).PS. Se state pensando “Sì, bello, ma sono le solite cose dove ci si ritrova in quattro“, sappiate che i biglietti per i vari eventi di Open Sound Festival sono in molti casi già sold out, quindi fate in fretta se volete regalarvi una visita a questa edizione (o sucate e tenetevi i vostri “eventi” coi soliti noti da 80/100 euro a botta, pensando che ci si possa divertire solo così, sennò si è – come dire – sfigati). Visualizza questo post su Instagram Un post condiviso da OPEN SOUND (@opensound_)The post Open Sound: i festival come potrebbero (…e dovrebbero?) essere appeared first on Soundwall.