L’accordo è stato annunciato a un anno esatto dall’esplosione che ha provocato la morte di cinque lavoratori e il ferimento di altre 26 persone: il sito di Calenzano cesserà di ospitare carburante e sarà riconvertito in un mega impianto fotovoltaico. Ciò che però non era stato chiarito in quella conferenza stampa – indetta dal sindaco Giuseppe Carovani e dal presidente della Regione Eugenio Giani – è in quell’intesa è compresa anche la rinuncia del Comune a costituirsi parte civile nel futuro processo per la strage.L’amministrazione incassa 6,5 milioni di euro, ma ritira ogni altra pretesa risarcitoria e di giustizia. Una scelta che ha fatto insorgere l’opposizione e parte della cittadinanza, che ieri ha convocato un’assemblea popolare: “È stata una sorpresa anche per noi – spiega al Fatto Maria Arena, ex candidata sindaca oggi consigliera d’opposizione del Pd – Riteniamo la vicenda molto grave. In modo unilaterale, la giunta viene meno a un impegno preciso preso e votato in consiglio comunale all’indomani del disastro. E accetta una cifra come compensazione che non sappiamo come sia stata calcolata, potrebbe benissimo essere minore dei danni accertati nel corso dell’inchiesta penale. Inoltre, non si fa cenno alle compensazioni per anni di esternalità provocate dalla presenza di questo impianto sul territorio, né a possibili danni ambientali”.La bufera politica è tutta interna al centrosinistra, che da queste parti ha numeri tali da consentire che al ballottaggio si presentino due aspiranti dello stesso schieramento. Così era andata nel giugno del 2024, quando Arena, candidata del Pd, era stata battuta da Giuseppe Carovani, fuoriuscito dallo stesso Pd durante l’era renziana. Con alle spalle altre due legislature da primo cittadino, Carovani è transitato in Sinistra italiana, per poi ricandidarsi alla guida di una lista civica a sinistra del Pd. All’indomani della strage fu lui a metterci la faccia, per chiedere un cambiamento radicale del rapporto tra lo stabilimento e la cittadina. Ieri Il Fatto ha provato a contattare anche lui, senza però ricevere risposta.Ma la frattura non è solo tra centrosinistra e sinistra, ma anche tra il Pd toscano e quello locale, che a Calenzano a che fare con l’ingombrante presenza dell’Eni: “Noi non siamo disallineati con Giani sulla necessità di spostare questo tipo di attività – dice ancora Arena – Il problema qui non è il ruolo dalla Regione, che ha spinto in questa direzione, ma nel comportamento del Comune, che ha scavalcato anche la commissione ad hoc sull’Eni messa in piedi dopo quei tragici fatti. Questa commissione di fatto è stata usata solo per comunicare decisioni già prese al tavolo con il colosso”.La riconversione annunciata da Eni prevede un investimento di decine di milioni di euro, per costruire un hub fotovoltaico da 20 megawatt che secondo la società vedrà la luce entro quattro anni. “Noi abbiamo dei dubbi anche su questo – conclude Arena – anche perché stiamo parlando di un impianto che sotto inchiesta, e abbiamo qualche dubbio che possa essere attivata una riconversione industriale in quelle stesse aree che sono oggetto degli accertamenti in tempi così rapidi”.Nel frattempo l’inchiesta della Procura di Prato, guidata dal procuratore Luca Tescaroli, procede a tempi serrati. Dieci gli indagati, accusati a vario titolo di omicidio colposo plurimo e disastro colposo, fra i quali 7 fra dirigenti e tecnici Eni: Patrizia Boschetti, head of operations di Eni; Luigi Cullurà, responsabile del deposito Eni di Calenzano; Emanuela Proietti, responsabile Salute e sicurezza; Carlo Di Perna, capo delle manutenzioni; Marco Bini, responsabile della rete fognaria, della pavimentazione e delle infrastrutture; Elio Ferrara e Marco Bini, tecnici; Enrico Cerbino, responsabile progetto esterno. Sono indagati anche Francesco Cirone e Luigi Murno, di Sergen.A spiegare il disastro di Calenzano, per gli investigatori, è la scelta “scellerata” di consentire lavori di manutenzione alle linee senza fermare il rifornimento delle autobotti, che avrebbe comportato per Eni (indagata per responsabilità amministrativa) una perdita economica di 255 mila euro al giorno. I lavoratori della subappaltante Sergen, secondo i pm, furono mandati al massacro, con un ordine “fantasma” dato a voce, di rimuovere una valvola da una linea che pensavano essere dismessa. L’incidente viene definito “un grave e inescusabile errore” di “sottovalutazione”.Senza saperlo, i manutentori tolsero invece un dispositivo di sicurezza fondamentale, posizionato su una conduttura attiva. Le telecamere interne riprendono l’improvvisa fuoriuscita del liquido e la successiva esplosione, innescata da un carrello elevatore. Ad aggiungersi al quadro, c’è un successivo tentativo di depistaggio, tentato secondo i pm da personale Eni, che avrebbe cercato di addossare la responsabilità ai manutentori poi morti.Eni, come ribadito in più occasioni, respinge la ricostruzione accusatoria, nega che sia mai avvenuto alcun tipo di depistaggio, e dichiara di essere a disposizione dei magistrati, in cui ripone massima fiducia.L'articolo Strage di Calenzano, il Comune non sarà parte civile nel processo a Eni: incassa 6,5 milioni e il sito sarà riconvertito in impianto fotovoltaico proviene da Il Fatto Quotidiano.