Phisikk du role – Luigi Di Maio e la politica vincente

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La politica vincente può essere esito di un atto di forza, secondo la visione di Carl Schmitt, oppure il frutto di un’astuzia stile Machiavelli che, comunque, anche per l’inventore della scienza politica, non è sempre estranea alla violenza. C’è chi, però, può vantarsi di riuscire a cogliere risultati con una naturale morbidezza, un soft power quasi istintuale, senza ricorrere alla forza e senza brandire violenza. Solo con dosi massive di moral suasion. Quando tutto questo avviene bisogna riconoscere un talento speciale. È il caso di Luigi Di Maio, in procinto di ricevere dall’Onu l’incarico di coordinatore speciale per il piano di pace in Medio Oriente. Se si scorre il cursus honorum di questo giovane politico italiano, si ha l’impressione di leggere il curriculum di un democristiano di rango della prima repubblica, solo che è formattato in un file-zip, a causa del poco tempo in cui tutto si è compiuto.Proviamo a fare sintesi: a 27 anni deputato e vice presidente della Camera (2013), grillino, si, ma con abiti sartoriali. Qualche sbavatura politica agli esordi, ma quanti al liceo non hanno mai deragliato almeno un poco dalla buona creanza? E poi con la filosofia situazionista del “garante” Grillo c’era poco da scherzare. Comunque seppe gestire l’aula parlamentare con disinvoltura ed eleganza da napoletano in pace col galateo, distinguendosi non poco dall’antagonismo aggressivo dei suoi colleghi. E non solo per la pochette nel taschino della giacca. A 31 anni viene eletto capo politico del Movimento Cinque Stelle dalla platea degli aderenti che votarono online. Fu una specie di plebiscito: quasi 31000 voti, pari all’82% dei votanti. Alle politiche del 2018 sotto la sua guida il Movimento raccolse il 32,68% dei voti, un risultato che somigliava a quelli della Dc. Nacque il primo governo a guida grillina con Conte.A 32 anni fu vice presidente del Consiglio, ministro del Lavoro e ministro dello Sviluppo Economico (2018), regge botta con stile puntando sulla moderazione. A 33 anni diventa ministro degli Esteri – probabilmente la sua prova politica decisiva – e consolida un rapporto collaborativo con Draghi che influirà anche nella sua visione complessiva della politica italiana e, soprattutto, internazionale. Sorprese il mondo diplomatico, notoriamente alquanto schizzinoso, per la capacità di studiare i dossier e di giungere così preparato ad ogni appuntamento. In chiusura di legislatura esce dal Movimento Cinque Stelle criticandone la deriva populista e fonda un partito avvertendo il dovere di manifestare la partecipazione delle posizioni europeiste e atlantiste nella competizione elettorale, pur sapendo che lo sbarramento al 3 per cento sarebbe stato un traguardo impossibile. Infatti la sua lista raccolse solo lo 0,6% dei voti e Di Maio riconobbe la sconfitta dimettendosi dal partito.Lasciò (momentaneamente) la politica nazionale ma nel 2023 (a 37 anni) è la politica europea che lo sospinge in quell’area a mezzo tra politica e diplomazia con l’incarico di rappresentante speciale dell’Ue per il Golfo Persico, intrecciando rapporti preziosi in quell’area. Da ultimo la nomination per il ruolo di coordinatore speciale Onu per negoziare la pace in Medio Oriente. A 39 anni. Un curriculum che, per la dimensione internazionale, non trova nessun paragone possibile con altri leader italiani, non c’è che dire. C’era una pubblicità che circolava nella preistoria della televisione, ai tempi di Carosello, ovviamente sconosciuti al giovane Di Maio, che decantava le proprietà di un te’ di moda in quel periodo. Parlava di “forza dei nervi distesi”. Sicuramente vale per SuperGiggino, antagonista sì, ma solo delle nevrosi infortunanti di cui i “grandi negoziatori” globali ci hanno dato larga prova nella tragica storia della Striscia di Gaza.