USA – Inflazione più bassa, ma l’economia rallentaNegli Stati Uniti i dati di novembre raccontano un’economia che si sta raffreddando senza però fermarsi di colpo. L’inflazione continua a scendere: il CPI è al 2,7% su base annua e il dato core al 2,6%, con aumenti mensili contenuti allo 0,2%. Non è un crollo dei prezzi, ma un rientro graduale delle pressioni inflattive, soprattutto grazie al rallentamento dei costi legati all’abitazione e a una minore spinta di energia e beni di consumo.Il mercato del lavoro manda un messaggio meno solido. I nuovi occupati di novembre sono positivi, ma il tasso di disoccupazione sale al 4,6%, il livello più alto degli ultimi anni. Questo significa che sempre più persone cercano lavoro senza trovarlo subito. I salari crescono molto meno rispetto al passato, segnale che le aziende non hanno più urgenza di competere sul costo del lavoro.In sintesi, l’economia americana non è in recessione, ma sta perdendo slancio. I consumi tengono, ma non accelerano. Le imprese non licenziano in massa, ma assumono con molta cautela. È uno scenario di rallentamento ordinato, non di crisi. Cosa vuol dire: meno inflazione e meno tensioni sul lavoro riducono la pressione sull’economia, ma indicano anche che la crescita futura sarà più debole. Il ciclo non riparte, semplicemente rallenta. Eurozona – Inflazione stabile, ma il contesto resta fragileIn Europa il quadro macro resta apparentemente ordinato, ma sotto la superficie continua a essere fragile. L’inflazione dell’Eurozona a novembre risale leggermente al 2,2% a/a, appena sopra il target BCE, mentre la core resta ferma al 2,4%. Il messaggio è chiaro: la disinflazione non si è interrotta, ma si è fermamente stabilizzata, soprattutto nei servizi, che continuano a correre al 3,5%.Dal lato reale, però, l’economia non accelera. I dati mostrano una domanda ancora debole e una crescita che fatica a prendere trazione, con la disoccupazione ferma al 6,4% e forti divergenze tra Paesi. L’assenza di pressione sui prezzi dei beni e il contributo negativo dell’energia confermano che non è l’inflazione il problema principale, bensì la mancanza di slancio ciclico.Il mercato obbligazionario riflette questa ambiguità: i rendimenti europei risalgono, ma non per inflazione, bensì per contagio globale, in particolare dal Giappone. La BCE, in questo contesto, resta bloccata: i tassi sono già bassi, l’inflazione non giustifica nuovi tagli immediati e la crescita non è abbastanza forte da reggere una normalizzazione. Lettura operativa: l’Eurozona resta in una fase di equilibrio instabile. Inflazione sotto controllo, ma crescita troppo debole per cambiare passo. Per i mercati significa assenza di catalizzatori interni, maggiore dipendenza da Fed, BoJ e fattori globali, e un contesto in cui l’Europa segue più che guidare. Asia – Giappone sotto stress, Australia ancora troppo caldaIn Asia il punto di tensione resta il Giappone. La risalita dei rendimenti obbligazionari ha rimesso la Bank of Japan in una posizione scomoda: normalizzare troppo velocemente rischia di stringere le condizioni finanziarie in un’economia ancora fragile, ma fermarsi significa accettare inflazione più persistente e uno yen debole. Il risultato è un mercato che guarda alla BoJ come possibile fonte di volatilità globale, soprattutto attraverso i flussi obbligazionari e il carry trade.Scenario diverso in Australia, dove i dati continuano a raccontare un’economia più resiliente. Crescita, consumi e investimenti tengono, mentre l’inflazione resta sopra il livello di comfort della banca centrale. Questo sposta il rischio di policy non verso nuovi tagli, ma verso una politica monetaria più restrittiva più a lungo, o addirittura verso un ritorno a toni più aggressivi. Lettura operativa: Asia a due velocità. Il Giappone è il principale fattore di rischio sistemico via bond e FX, l’Australia resta ciclica e “calda”. Attenzione ai movimenti sui rendimenti giapponesi: sono il vero trigger per la volatilità globale. FX & Metalli – Dollaro senza direzione, oro sostenuto dal contestoSul mercato valutario domina una sensazione di attesa. Il dollaro resta privo di una direzione chiara: da un lato beneficia ancora del differenziale di crescita rispetto ad altre economie avanzate, dall’altro fatica a rafforzarsi in modo strutturale in assenza di nuovi shock macro o inflattivi. È un USD che non crolla, ma che non riesce nemmeno a ripartire.L’euro si muove di riflesso, senza una forza propria. L’assenza di catalizzatori interni e una crescita europea ancora debole mantengono il cambio in una logica di range, più guidata dal dollaro che da fondamentali domestici.Lo yen resta fragile sul piano ciclico, ma continua a mantenere un valore assicurativo nei portafogli: non è protagonista nel breve, ma torna interessante ogni volta che il rischio globale aumenta.Sul fronte metalli, l’oro rimane ben supportato. Non è una corsa speculativa, ma una domanda di protezione coerente con un mondo in cui crescita e inflazione rallentano senza però normalizzarsi del tutto. I rendimenti reali non offrono un vero ostacolo e questo mantiene il metallo prezioso in una posizione difensiva solida. Lettura operativa: FX in modalità laterale, senza trend forti. Oro ancora utile come stabilizzatore di portafoglio più che come trade direzionale aggressivo. Takeaway finale – Un equilibrio fragile, non una svoltaIl quadro macro resta in equilibrio instabile. I dati non raccontano una recessione imminente, ma nemmeno una ripartenza convincente. L’economia globale sta rallentando in modo ordinato, con domanda più debole, mercato del lavoro meno dinamico e inflazione che scende lentamente senza tornare davvero “normale”.I mercati stanno reagendo a questo contesto con una logica chiara: meno direzionalità e più selettività. Le valute restano in range, i bond non trovano un trend forte e le materie prime si muovono più su fattori specifici che su una narrativa macro unica. Il messaggio di fondo è che non siamo in una fase di svolta, ma di attesa. Finché non ci sarà un segnale netto su crescita o inflazione, il mercato continuerà a muoversi su equilibri fragili, premiando chi gestisce il rischio più che chi cerca il colpo secco.L'articolo I mercati resistono, ma qualcosa sta cambiando: ecco cosa dicono i dati proviene da MarcoCasario.com.