Honduras. A un mese dal voto continua il riconteggio: cresce il rischio di instabilità

Wait 5 sec.

di Giuseppe Gagliano –La ripresa del riconteggio speciale delle schede elettorali da parte del Consiglio elettorale nazionale apre in Honduras una fase che va ben oltre la semplice verifica tecnica dei verbali. A un mese dalle presidenziali del 30 novembre, il Paese centroamericano si trova immerso in una zona grigia dove la linea che separa il diritto elettorale dalla stabilità politica diventa sottile e pericolosa. Non è in discussione solo chi guiderà il Paese, ma la capacità stessa delle istituzioni di reggere a una competizione che si è trasformata in uno stress test per l’intero sistema.I numeri raccontano una polarizzazione estrema. Il candidato del Partito Nazionale, Nasry Asfura, resta in testa con poco più del 40 per cento dei voti, tallonato dal liberale Salvador Nasralla, distante meno di un punto percentuale. In mezzo, ma ormai fuori dalla corsa per la vittoria, la candidata di Libre, Rixi Moncada, che paga il logoramento del partito di governo. In un contesto simile, anche una minima correzione può ribaltare l’ordine di arrivo.Il riconteggio riguarda 2.792 verbali con irregolarità tecniche o amministrative. Secondo le stime degli analisti locali, questi documenti potrebbero rappresentare fino a 900 mila voti, una massa critica sufficiente non solo a confermare o smentire i risultati preliminari, ma anche a ridefinire la legittimità politica del futuro presidente. Il dato del 99,87 per cento delle schede già elaborate, apparentemente rassicurante, diventa così un’illusione statistica: ciò che resta da verificare pesa più di quanto suggeriscano le percentuali.La sospensione temporanea del processo, decisa dopo le segnalazioni della presidente del CNE Ana Paola Hall e della consigliera Cossette Lopez, ha evidenziato le fragilità operative e le pressioni politiche che gravano sull’autorità elettorale. La ripresa delle operazioni, con osservatori nazionali e internazionali e la presenza di un revisore dei conti statale, è un tentativo di blindare il processo, ma non elimina il sospetto che ogni passaggio sia osservato e interpretato in chiave politica.L’attacco con ordigni esplosivi contro tre scrutatori del Partito Nazionale segna un salto di qualità preoccupante. Che la violenza colpisca direttamente chi lavora al conteggio dei voti significa che il conflitto politico ha superato la soglia simbolica della competizione democratica. Anche se le condizioni dei feriti non sono critiche, il messaggio è chiaro: il processo elettorale non è più solo una questione di carte e numeri, ma un terreno di scontro fisico.Questo episodio rafforza la percezione di un clima teso e instabile a Tegucigalpa, dove proteste e accuse incrociate accompagnano ogni comunicato del CNE. In un Paese con una lunga storia di crisi istituzionali, la sicurezza del processo elettorale diventa essa stessa una variabile politica.Gli analisti honduregni concordano su un punto: il riconteggio non serve solo a dirimere una contesa elettorale, ma a tamponare una crisi di fiducia strutturale. Ridurre il ruolo diretto dei partiti nelle fasi di conteggio e verifica dei voti appare ormai una necessità, non una scelta opzionale. Senza una riforma profonda, ogni elezione rischia di trasformarsi in una battaglia di delegittimazione reciproca.In questo quadro, il messaggio della presidente Xiomara Castro, che ha garantito il rispetto del verdetto finale e una transizione pacifica il 27 gennaio 2026, mira a rassicurare i mercati, gli alleati regionali e una popolazione stanca dell’incertezza. Ma la credibilità di queste parole dipenderà interamente da come il CNE gestirà gli ultimi giorni prima della proclamazione ufficiale, prevista entro il 30 dicembre.Le elezioni honduregne mostrano come, in sistemi istituzionali fragili, il voto non sia solo uno strumento di scelta politica, ma una linea di faglia su cui si misurano potere, consenso e capacità dello Stato. Il riconteggio in corso non deciderà soltanto chi siederà alla presidenza, ma se l’Honduras riuscirà a chiudere questa fase senza scivolare in una crisi di legittimità più ampia. In gioco non c’è solo un nome, ma la tenuta stessa della democrazia honduregna.