È stata la sua ultima messa di Natale come arcivescovo di New York. Timothy Dolan ha celebrato la notte del 25 dicembre davanti a centinaia di fedeli, che hanno atteso per ore al freddo, sulla Fifth Avenue, prima di entrare nella cattedrale di St. Patrick. Da febbraio sarà Ronald Hicks (nella foto), 58 anni, attuale vescovo di Joliet, Illinois, a prendere il suo posto e guidare i due milioni e ottocento mila fedeli dell’arcidiocesi di New York, la seconda per popolazione degli Stati Uniti. La transizione sta procedendo, almeno in apparenza, senza particolari problemi. “Per me, è stato come un regalo di Natale anticipato” ha detto Dolan, alla notizia della nomina di Hicks. In realtà, la Chiesa Usa è percorsa da tensioni profonde e rivalità accese. Lo scontro non è tanto tra conservatori e progressisti. Il vero tema del contendere è quello dei rapporti con il potere politico. Quindi, con l’amministrazione Trump.Risulta spesso fuorviante applicare schemi interpretativi del dibattito pubblico e politico alle vicende della Chiesa di Roma. Lo si è fatto anche in relazione alla figura del cardinale Dolan, definito un “eminente conservatore” e un “combattente delle guerre culturali”. È sicuramente vero che Dolan ha preso posizioni molto nette in tema di condanna dell’aborto e di rivendicazione del matrimonio come unione esclusiva di un uomo e una donna. Ma queste sono le direttive ufficiali della Chiesa di Roma – e va tra l’altro osservato che Dolan, in molti casi, ha parlato e agito in modi graditi alla sinistra. Quando il governatore del Texas Greg Abbott ha spedito centinaia di migranti a New York, per richiamare l’attenzione sulla crisi migratoria del suo Stato, Dolan si è mobilitato per fornire ai nuovi arrivati cibo, vestiti, assistenza legale, accesso alle scuole cattoliche. Parlando dei suoi incontri con i richiedenti asilo, ha detto che il suo compito era vederli “con gli occhi di Gesù”. Dolan ha poi collaborato con i progressisti newyorkesi su molte questioni: dalla crisi abitativa ai rifugi per i senzatetto all’assistenza ai carcerati. E una delle personalità religiose che ha più spesso citato è Dorothy Day, l’anarchica e radical newyorkese, attivista per i più poveri e per gli esclusi, “serva di Dio”, secondo la definizione del Vaticano, in attesa di canonizzazione.L’asse Dolan-Trump“Il cardinale Dolan non è un conservatore. Ha predicato il vangelo”, ha scritto di recente Religion News Service, a sottolineare proprio la sostanziale apoliticità del magistero dell’arcivescovo di New York. La cosa appare corretta dal punto di vista della dottrina sociale della Chiesa. Difesa della vita, del matrimonio tra uomo e donna, accoglienza per i migranti, assistenza per i più poveri: Dolan ha, nella sua attività pastorale, accuratamente rispettato le indicazioni che papa Francesco emanava da Roma. Se però dalla dottrina sociale passiamo al tema della politica, è indubbio che egli sia stato uno di quei prelati Usa che hanno accompagnato e appoggiato l’avventura di Donald Trump, e più in generale la deriva sempre più conservatrice del partito repubblicano. Il cardinale di New York è stato tra i promotori di “Fortnight for Freedom”, le due settimane di preghiera e digiuno organizzate dai vescovi americani contro le politiche sanitarie dell’amministrazione Obama. Dolan si è speso in lodi per la strategia seguita da Trump nei mesi più duri della pandemia. Ha pronunciato l’invocazione religiosa all’Inaugurazione di Trump, nel gennaio 2025. È entrato in una non meglio identificata commissione “per la libertà religiosa” voluta dal presidente. Di Charlie Kirk, l’attivista di estrema destra assassinato lo scorso settembre, Dolan ha detto che si trattava di “un moderno san Paolo”.La posizione sull’abortoSono prese di posizione amplificate dal carattere particolarmente esuberante e comunicativo di Dolan, che non hanno fatto nulla per “riconciliare le differenze” e ristabilire “una Chiesa in cui non vi siano divisioni”, come Francesco chiese ai vescovi americani. Il processo di politicizzazione della Chiesa americana è d’altra parte antico e ha origine nelle particolari condizioni socio-religiose degli Stati Uniti, Paese caratterizzato da una pluralità di confessioni – spesso aggressivamente impegnate nella vita pubblica, come gli evangelici – e da una polarizzazione sempre più marcata, che alla fine ha toccato ogni settore della società, quindi anche la religione. Se, a partire dal Concilio Vaticano II, le chiese europee hanno accentuato il distacco dai governi, in una prospettiva di reciproco rispetto e autonomia, quelle Usa hanno conosciuto un processo opposto. A gerarchie preoccupate per lo svuotamento delle chiese, la crisi delle vocazioni, i tanti scandali sessuali, la progressiva laicizzazione della società – negli anni Novanta, il 90 per cento degli americani si definiva cristiano; a inizi 2020, era il 67 per cento – la politica repubblicana degli ultimi decenni, in particolare quella di Trump, ha offerto la cancellazione del diritto all’aborto su base federale, politiche fiscali particolarmente favorevoli, finanziamenti per le scuole religiose, lotta a woke, trans e tutto ciò che può mettere in discussione la rassicurante opposizione del maschile/femminile. È stato uno scambio che, se ha rafforzato lo status temporale delle chiese protestanti e di quella cattolica, ne ha limitato l’indipendenza e minato l’autorità religiosa, alimentando scontri e divisioni.Prevost sulle orme di FrancescoÈ questa Chiesa americana così imbevuta, così ebbra di politica, che Francesco ha cercato senza grande successo di riformare. Ed è su questa Chiesa americana che un americano – Robert Francis Prevost, diventato papa Leone XIV – cerca ora di intervenire. Il nuovo pontefice è, caratterialmente, più prudente, meno impaziente ed esplosivo del suo predecessore. Le sue prime decisioni, proprio in tema di Chiesa Usa, sembrano però andare nella stessa direzione. La scelta di Ronald Hicks ad arcivescovo di New York è da questo punto di vista esemplare. Hicks viene, come Prevost, dall’Illinois. Come Prevost, ha lavorato in Centro America, in particolare in un orfanotrofio di El Salvador. Da vescovo di una piccola diocesi come quella di Joliet, si è tenuto fuori dei giochi della grande politica nazionale. È un protegé dell’arcivescovo di Chicago, il cardinale Blase Cupich, che ha lavorato proprio con Prevost al Dicastero per i vescovi, incaricato di nomine e governo delle diocesi. Anche nel caso di Hicks bisogna evitare di cadere nell’antitesi secca conservatori/progressisti. Quando, nel 2022, la Corte Suprema ha annullato la Roe v. Wade, quindi il diritto all’aborto su base federale, Hicks ha esultato con queste parole: “La decisione odierna è una risposta a decenni di preghiere e sostiene la protezione della più innocente delle vite umane – il bambino nel grembo materno – che è da tempo un principio fondamentale della dottrina sociale cattolica”.La nomina a Mar a LagoSe dunque Hicks non è un “progressista”, nel senso che in politica si dà comunemente al termine, è però prelato lontanissimo – per formazione, cultura, visione del mondo – da Donald Trump e dal mondo MAGA. È stato lui stesso a sottolinearlo con forza, quando è arrivato a New York per la presentazione alla città e ha parlato in spagnolo. Il gesto è stato interpretato nell’unico modo possibile, e cioè come una presa di distanza dalle politiche migratorie di Trump, dall’ondata di rastrellamenti e deportazioni di ispanici che l’amministrazione ha scatenato. Proprio la questione immigrazione appare del resto quella su cui la Chiesa di Roma cerca di rimarcare la lontananza da Trump. A novembre la conferenza dei vescovi americani ha criticato le deportazioni di massa, spiegando di voler “in questo contesto, alzare la voce in difesa della dignità umana donata da Dio”. E il giorno dopo l’annuncio della nomina di Hicks, ancora papa Leone XIV ha nominato il reverendo Manuel de Jesús Rodríguez, membro di una congregazione prevalentemente ispanica di Corona, nel Queens, vescovo della diocesi della Florida in cui si trova la tenuta di Mar a Lago. Il messaggio che arriva da Roma non potrebbe dunque essere più chiaro e ha l’attuale presidente come destinatario privilegiato.L'articolo New York, al posto di Dolan un prelato lontano da Trump: il cambio di rotta di Papa Leone XIV nella chiesa Usa proviene da Il Fatto Quotidiano.