Elsewhere vuol dire altrove, che è il titolo del nuovo album di Gemitaiz, 37 anni, rapper di scuola romana, uno dei più seguiti dell’intero circuito italiano. Un titolo che non casca su quest’opera come una casualità, perché davvero l’album di Davide De Luca, così all’anagrafe, abita terre discografiche quasi inedite. Elsewhere è prima di tutto un’opera rap suonata, a questi 17 brani hanno lavorato alcuni dei migliori musicisti e producer in attività nell’universo urban e non solo, da Rodrigo D’Erasmo a Fabio Rondanini, e ancora Mace, Ceri Wax, Stabber e, naturalmente, la premiata ditta Frenetik & Orang3. Un’opera contro insomma. Contro soprattutto la brutta piega presa dall’odierna discografia, portata a casa con l’indiscusso talento da liricista di Gemitaiz. Elsewhere è un disco particolarmente ispirato, come se fosse scattata una scintilla che ti ha portato in una direzione molto precisa…«Per troppo tempo non mi sono sentito parte del rap italiano. Ho pensato che mi lamentavo del fatto che non trovavo tanto appeal nelle liriche che ci sono adesso nel rap in Italia, ma non mi potevo lamentare se non facevo io qualcosa in prima persona»Per questo è venuto fuori un disco così intenso?«Ho pensato che fosse un momento delicato per uscire con della musica, perché tutto può essere interpretato in maniera sbagliata, bisogna dosare le parole, non avevo voglia di fare un disco dove sembrasse che va tutto bene, almeno per tutta la prima parte del disco credo e spero che la cosa si percepisca»Si percepisce un fuoco del tutto particolare…«Il primo sentimento che volevo si provasse ascoltando il disco è quello della rabbia e della rassegnazione rispetto i tempi di oggi»Riguardo i tempi di oggi, hai fatto un disco rap cui caratteristica è l’alta percentuale di suonato. Un atto eroico considerati, appunto, i tempi di oggi…«Noi in realtà abbiamo sempre lavorato così negli anni, siamo sempre rinchiusi da qualche parte suonando insieme, però era diverso perché magari eravamo in dieci ma sparpagliati. Io invece negli ultimi anni, frequentando le session di Mace, ho visto questa roba che faceva lui: raggruppare tutti nella stessa stanza e lavorare tutti insieme più o meno su tutte le cose. Io quell’approccio non l’avevo mai preso in considerazione, perché faccio rap e quindi non ti viene in mente. Invece poi vedendo lui, che a livello artistico si può sentire sicuramente più libero di uno come me, mi è venuto in mente che potevo applicarlo anche alla mia di musica. Perché io pure recepisco la musica così e la musica che ascolto è così»Ti sarai anche divertito a registrare…«Anche se poi all’orecchio è molto complessa la musica che c’è nel disco, farla è stato veramente un gioco da ragazzi perché io dirigevo soltanto, sono tutti musicisti formidabili, gente con un talento innato, quindi sì, è stato un piacere averli “al proprio servizio”, è stato un piacere sapere che loro sono stati contenti quanto sono stato contento io di fare parte di questo disco, questa cosa poi aiuta tanto il processo di sviluppo della musica»Di questo disco hai detto: “È nato dall’esigenza che ho sentito, quella di dovermi distanziare dal mercato musicale odierno, dalle classifiche, dalla velocità degli streaming”, ma qual è la prima cosa che aggiusteresti del mercato discografico odierno?«Sicuramente il disperato bisogno di arrivare sempre al numero uno, di essere sempre quelli più streammati, quelli più ascoltati, quelli più capiti, quelli più visti, quelli più chiamati, quelli che fanno più concerti. Questa cosa qui porta inevitabilmente a fare sempre meno musica ed è come se un progetto venisse pian piano avvelenato. È successo parecchie volte, io non mi metto qua a fare nomi, ma in passato ci sono già stati artisti che sono usciti fuori per il loro talento, la loro bravura, la loro originalità, il modo di fare, che poi dopo che sono esplosi, tempo due, tre, quattro anni, cominciavano tutti un po’ ad assumere questo atteggiamento»Tu come sei riuscito a salvarti da questo meccanismo?«Il mio disco viene curato da me sotto tutti gli aspetti, nessuno decide qualcosa sul mio disco, niente, io decido chi può mettere bocca, chiamo i miei amici, chi voglio che faccia le foto, da chi voglio un parere. Faccio tutto io da solo, non c’è mai stato nel corso della mia carriera qualcuno che mi abbia mai detto “Fai così”, io non ho mai avuto questa necessità e tanti artisti non ce l’hanno. Altri artisti invece magari stanno più comodi a sentirsi abbracciati da una produzione, dall’etichetta, io non dico che sia sbagliato, però se poi nel tuo disco i producer devono essere gli stessi che fanno i bassi a tutti quanti gli altri e i featuring devono essere sempre uguali, perché quelli che fanno più streaming sono quelli, alla fine poi tu che decidi più? Poco, capito?»Una deriva piuttosto impersonale…«La deriva dipende dal fatto che la musica tante volte viene smussata da gente che non è un musicista, non è un cantante, non è neanche un interprete, è gente che sta seduta alla scrivania e vuole fatturare, capito? Ne sono uscito anche io da poco da questa mentalità, perché io vengo dal rap, io sono un rapper, grazie al ca**o che voglio arrivare al numero uno tutte le volte, ma a che costo? Preferisco arrivare ottavo con un disco stupendo che primo con un disco che non farei mai. Quindi la questione qua non è che gli altri sbagliano o fanno bene, io faccio meglio degli altri, per me personalmente questo adesso è l’unico modo che ho per fare della musica e per farla uscire. L’obiettivo è sempre stato quello di fare il meglio che potessi e che mi piacesse il più possibile, questa volta c’è stato da subito questo annullamento di questa enfasi di dover finire nelle top 50, nelle playlist, non me ne frega un cazzo»È una posizione condivisa con i tuoi fan…?«L’ultimo tour che ho fatto ho portato tutti i miei mixtape in free download di 10 anni fa ed è stato il tour più grosso che ho mai fatto in vita mia. Io e i miei fan ormai ci capiamo quindi non ho bisogno neanche di farmi più la paranoia, se arrivo primo va bene, se arrivo terzo va bene, non me ne frega più un cazzo, per me l’importante è che questi dischi siano diesel e durino negli anni come è sempre successo»In Old School affronti questo discorso di petto…«Be, Old School è una delle poche tracce leggere del disco, poi si, c’è sempre un po’ di veleno dentro. Ho scritto divertendomi e spero che venga recepito e che il pezzo venga preso come deve essere preso. Non voglio dire non sia sarcastico, io quando faccio quei pezzi ci rivedo tanto alcune cose di Eminem o di Redman, robe un po’ “comiche” tra virgolette, è stato un po’ un tributo alla roba per la quale poi mi sono innamorato della musica che faccio»In Dancing With The Devil Pt. 2 dici “per restare vero non lo sai il prezzo”…qual è il prezzo?«Il prezzo che il grande pubblico può capire più di tutti sono i soldi: fai molti meno soldi, per esempio. Questa potrebbe essere una cosa chiara a tutti quanti. Sono due strade, una dove fai un sacco di soldi e una dove ne fai meno. Io per ora sto ancora in quella in cui ne fai meno, ma alla grande. Sono cose che faccio con piacere, anche perché io di tutti questi soldi non so che ci devo fare, non devo diventare plurimilionario, neanche ho la patente, non devo neanche comprare le macchine. Non me ne frega nulla, sono contento così come sono, visto che comunque negli anni facendo la cosa mia è sempre andata bene»Altro?«Di prezzi da pagare ce ne sono tanti, anche il fatto di volersi esporre e di voler avere una posizione chiara su determinati argomenti. Non voglio dire che io sono bravo e gli altri no, ma in questo momento io la vedo così. Nel corso degli anni uno fa delle scelte e si rende conto se portano ai risultati che voleva o no. Io per adesso sono soddisfatto così come sono. Non potrei chiedere di più in questo momento, anche perché vedo che il disco è stato recepito come speravo, come desideravo e questa è la cosa più importante»In Brother & Sister si dice che Dio “Per salvarci a volte manda una canzone”…ci credi ancora nel potere delle canzoni?«Assolutamente sì, la musica poi per me è sicuramente condivisione. Una delle cose che preferisco fare di più nella vita è mandare musica da sentire ai miei amici. È proprio una cosa che mi dà estasi. Quando scopro un bel disco mi piace condividerlo con gli altri, quindi certo, ovvio. Questa cosa è vitale, secondo me»Secondo te c’è qualcosa che il rap deve ancora dire e dimostrare? Mi riferisco soprattutto ad un certo spessore intellettuale, perché vedo che spesso è ancora visto attraverso il vecchio cliché dei rapper brutti, sporchi e cattivi…«In Italia ci sono tanti artisti che affrontano tanti temi importanti, anche artisti grossi. Marra, per esempio, è il primo che mi viene in mente, più easy. Anche Fibra ha sempre fatto denuncia. Trovo che ci siano tanti artisti che sappiano liricamente il fatto loro. Sono sicuro che c’è un sacco di gente che conosce soltanto delle robe più recenti, che sono fatte da ragazzi molto giovani, ed è normale che una persona di quarant’anni dica che il rap è una merda, che questi sono tutti violenti. Ci sta. Però se magari quella persona dovrebbe anche sapere che c’è tanta diversificazione nel rap, che se un giorno sei incazzato puoi sentire roba che ti fa incazzare di più, che ti fa sfogare, e che se un giorno sei triste puoi sentire un’altra cosa. Trovo che ci siano tanti artisti che rappresentano bene il liricismo in Italia, io mi metto tra loro perché ci tengo tanto, ci ho sempre fatto attenzione. Sicuramente ci potrebbe essere più di quello che c’è, però è anche vero che siamo cresciuti. Io sono cresciuto con un altro tipo di reference a livello sociale»Tipo?«Quando io avevo vent’anni dovevamo rappare determinate cose, volevamo toccare determinati temi, adesso ce ne sono altri, perché le persone si sono comunque anche avvicinate a questa musica ascoltando gli americani, quindi non si possono neanche biasimare dal mio punto di vista»In questo senso, credi che la presenza del rap in un contesto smaccatamente nazionalpopolare come Sanremo sia positiva per il rap? Quest’anno per esempio la scelta è stata ottima: Sayf, Nayt, ragazzi con contenuti, non degli hitmaker. Credi che sia positivo?«Sì, per carità, certo. Sono contento che William (ndr Nayt) vada a Sanremo, secondo me è il momento giusto per lui e lui è anche uno che sa scrivere molto bene, sicuramente può fare bene. Il rap è la musica più ascoltata del mondo ormai da anni ed è ovvio che deve stare pure a Sanremo affinché finalmente gli venga dato un po’ di spazio, mi sembra una cosa normale»Tanti tuoi fan direbbero che anche Gemitaiz dovrebbe farci un pensierino e che sarebbe positivo che andasse a Sanremo…«Non mi vergognerei a farlo, però per adesso non ne sento proprio il bisogno. La Niña l’altro giorno ha scritto una cosa bella: “Il linguaggio della musica che c’è a Sanremo non è il linguaggio che voglio parlare io” ed è così anche per me. Non si potevano usare parole migliori»Credi che stiano cambiando i connotati del rap italiano, come se quel trend di superficialità stia passando…?«Ti dico la verità: dopo un po’ tutto gira, le cose ritornano, è sempre stato così in tutto, soprattutto nell’arte. L’arte arriva, cambia, cambia, cambia, cambia, cambia, cambia, ad un certo punto ricomincia tutto all’inizio. È positivo che comunque chi ascolta il rap voglia anche sentire qualcosa che non è soltanto bravura o vibe o queste cose qua. È normale che dopo un po’ la gente si rompa e voglia refreshare quello che ascolta e si vuole cercare. Di solito quando si arriva a un punto così, dove sei proprio stanco, passi da un estremo all’altro. E quindi magari prima erano meno esigenti, ora invece tutti esigono che ci sia qualche cosa dentro, che ci sia qualche messaggio, che non sia soltanto una cosa che hai già sentito per un sacco di anni»In Italia manca una nuova generazione di rap di lotta sociale e politica, eppure ce ne sarebbero di tematiche da affrontare, ma nel rap, specie quello da classifica, vengono totalmente messe da parte…«Perché, come ti dicevo prima, loro si sono innamorati del rap ascoltando cose completamente diverse da quelle con cui ci siamo innamorati noi. Ovvio che io sono stato influenzato da quelle cose e o emulato inconsciamente quelle cose là, sia le cose positive che negative. Io mi sono innamorato del rap con Tupac, uno che ha fatto più denuncia di Tupac nel rap non mi viene in mente. Se per me quella è la cosa più bella che c’è nel rap, io cerco automaticamente di provare a essere come quella cosa là. Io mi sono fatto tutti i migliori concerti della vita mia da ragazzino, tutti quanti nei centri sociali, come potevo diventare? Come posso oggi non dire nulla, capito? È impossibile. Sbaglio spesso i metodi, come mi esprimo, e magari passo dalla parte del torto, però almeno la mia posizione è chiara, quello ormai si è capito»Effettivamente con te non viene il dubbio, ogni volta che leggo i tuoi commenti su X riguardo la Roma penso “Ma chi glielo fa fare”…«È che uno si incazza e tanto, in maniera viscerale, solo per le cose che ama, alla fine quelli sono tutti atti di amore»Cosa ti piacerebbe che rimanesse di questo disco in chi lo ascolta?«Credo che ognuno ci tiri fuori quello che deve tirarci fuori. Sono sicuro che resterà un disco di rottura a livello musicale e spero possa venire preso…non d’esempio, però che possa aver dato più sicurezza a qualcuno che magari aveva pensato di fare una roba più ricercata»L'articolo Gemitaiz, il suo Elsewhere e il rap di oggi: «Meglio ottavo con un disco stupendo che primo con un disco che non farei mai» – L’intervista proviene da Open.