“Ti faccio una confidenza: ho offerto la mia vita in olocausto a Dio per la pace del mondo!”, disse José Gregorio Hernández, classe 1864, pioniere della medicina scientifica in Venezuela, il 29 giugno 1919, all’età di 46 anni, mesi prima di essere investito da un auto che interruppe l’ultima visita a un bambino malato cui portava medicinali, nelle sue lunghe camminate a Caracas.Anche madre María Carmen Rendiles, classe 1903, subì un incidente d’auto e lo definì “una piccola scheggia in più della Croce di Cristo” che portava “con allegria”. Lei nacque senza un braccio e venne respinta da diverse congregazioni finché entrò a far parte delle Serve di Gesù per il Santissimo Sacramento a cui si dedicò fino alla fine, anche in stampelle o in carrozzina.Messe l’una insieme all’altra le vite di Hernández e Rendiles sono un inno alla fragilità cantato al presente. Loro, già beatificati da papa Francesco, canonizzati domenica 19 ottobre da papa Leone XIV, in piazza San Pietro, insieme ad altri cinque – Ignazio Maloyan, Peter To Rot, Vincenza Maria Poli, Maria Troncatti, Bartolo Longo -, sono i primi santi di un Paese ferito da divisioni e venti di guerra che si insinuano nei mari e nei cieli dei Caraibi. “Non eroi né paladini di qualche ideale, ma uomini e donne e autentici”, ha detto il Pontefice durante l’omelia mentre elencava i nomi dei sette nuovi santi sottolineando che “la giustizia di Cristo è nella Croce” ed è fondata sul “perdono”.“Testimoni di pace”, si diceva sabato nel Simposio tenuto presso la Pontificia Università Lateranense a cui hanno partecipato l’arcivescovo di Caracas Raúl Biord, il sostituto per gli Affari generali della Segreteria di Stato Edgar Peña Parra e il cardinale Baltazar Porras, che si è riferito alla canonizzazione dei due santi come un’opportunità della Provvidenza per “contribuire alla costruzione di una società più giusta, una democrazia più piena e un Paese più solidale“. E “non possiamo dimenticare i prigionieri politici“, la cui situazione “spezza l’unità di molte famiglie” e “fa soffrire tutti”, ha detto Porras parlando degli 860 detenuti politici, di cui 89 stranieri. Ha affrontato anche la crisi di rifugiati del Venezuela, chiedendo che i suoi connazionali migranti – almeno 8,5 milioni sparsi nel mondo – siano “accolti, protetti, promossi e integrati”.Tali argomenti restano al centro delle interlocuzioni tra l’Italia e il Venezuela, la cui delegazione diplomatica, presente a Roma, sarà ricevuta lunedì in udienza da papa Leone XIV. Tra i presenti alla celebrazione di domenica, il capo dello Stato Sergio Mattarella, che ha stretto la mano alla ministra dell’Istruzione venezuelana Yelitza Santaella, il sottosegretario agli Esteri Giorgio Silli, l’ambasciatore italiano a Caracas Giovanni Umberto De Vito e Luigi Maria Vignali, inviato per gli italiani in Venezuela. Ed è plausibile che vi siano stati contatti diretti fra le rappresentanze, vista la disponibilità di Caracas, ora sotto assedio Usa.Sullo sfondo: la liberazione di Alberto Trentini, l’operatore umanitario 46enne, anche in lui testimone di pace, perché andato in Venezuela per servire i più fragili – malati, migranti e disabili – e prigioniero da quasi un anno, senza accuse, a El Rodeo I, come accade di solito nella diplomazia degli ostaggi. Da questa parte i miracoli laici affidati ai due santi sono quindi la liberazione di Trentini e di altri connazionali prigionieri, come Biagio Pilieri e Perkins Rocha, e la riconciliazione di in un Paese lacerato da una lunga catena di violenza, che si nutre di persecuzioni e sete di vendetta, a ruoli alterni, a seconda della stagione politica.“È da settant’anni che il Paese aspetta la canonizzazione di Hernández: mia madre, che ci ha sperato tanto, è spirata senza vedere questo momento”, ha detto a ilfattoquotidiano.it lo storico José Nelson Castillo, venuto in pellegrinaggio dal Venezuela, nell’auspicio che “i santi oggi proclamati portino la pace nel mondo e nel nostro Paese, che vive una dura crisi”. Un desiderio condiviso da Annamaria Buonassisi, in Italia da decenni, per la quale la fede, “che a volte tentenna, resta l’unico legame” con il Venezuela, che spera “possa rialzarsi dalle attuali difficoltà”.Qualche grazia è già stata compiuta, almeno domenica mattina, con dissidenti e rappresentanti di Nicolás Maduro riuniti nella stessa piazza, San Pietro, nonostante le fratture in essere e qualche diverbio di troppo, sabato sera, a margine delle manifestazioni e veglie di preghiera organizzate nella capitale per chiedere “una canonizzazione senza prigionieri politici“, con l’intervento in diretta della Nobel per la pace, María Corina Machado.L’unità del Venezuela si riflette altrove: tra i giovani e bambini dell’Orchestra sinfonica nazionale del Venezuela, che riunisce musicisti da 8 a 13 anni e il Coro nazionale Simón Bolívar, che domenica sera si esibiranno al concerto Santi e musica per tutti a Villa Borghese.La notizia dei primi santi venezuelani, che domenica prossima vedrà una celebrazione eucaristica allo Stadio Monumental di Caracas, deve coesistere con l’escalation nel sud dei Caraibi, dove si è verificato l’affondamento di un altro sottomarino, rivendicato come un successo da parte del presidente Usa Donald Trump. Il clima è peggiorato dopo il nulla osta di Washington alle operazioni sotto copertura targate Cia e alle possibili operazioni terrestri nel Paese sudamericano, che ravviva vecchi fantasmi e apre una nuova ondata di retate anti-dissidenti in un Paese già militarizzato. A questo punto, come già scritto dai vescovi venezuelani nella Lettera pastorale, la canonizzazione di Hernández e Rendiles “non può ridursi a gesti di giubilo, né a omaggi artistici e culturali”, ma deve suscitare “una profonda riflessione sul presente e il futuro” di un intero Paese.L'articolo La canonizzazione di Hernández e Rendiles può aiutare la chiesa venezuelana a mediare per Trentini proviene da Il Fatto Quotidiano.