In vista dell’inizio del quarto inverno dall’avvio dell’invasione dell’Ucraina ordinata da Mosca, Kiev sta portando avanti con sempre maggiore decisione la sua strategia di attacchi alle infrastrutture energetiche sul territorio russo. L’ultimo episodio in ordine di tempo risale a domenica scorsa e ha interessato l’impianto di trattamento del gas naturale di Orenburg. Droni ucraini hanno seriamente danneggiato la struttura, una delle più importanti al mondo e che si trova a oltre mille chilometri dal confine tra Russia e Ucraina. Una distanza che, da un lato, mostra chiaramente la capacità di colpire in profondità a opera delle forze armate al comando di Kiev e, dall’altro, chiama in causa un altro attore che negli ultimi tre anni e mezzo più di una volta si è visto suo malgrado coinvolto: il Kazakistan.Orenburg si trova infatti nei pressi del confine tra la Russia e la repubblica centro asiatica, gigante del settore degli idrocarburi. Gestito da Gazprom, l’impianto russo è in grado di produrre e trattare fino a 45 miliardi di metri cubi di gas naturale all’anno, una quota raggiunta utilizzando gas che si trova sul territorio russo e quello proveniente dal giacimento kazaco di Karachaganak. Quest’ultimo non è un deposito qualunque. Scoperto nel 1979, è uno dei più grandi giacimenti di gas condensato al mondo ed è gestito da un consorzio internazionale che comprende nomi come Chevron, Shell ed Eni, che ne detiene una quota pari quasi al 30%. Anche la russa Lukoil e la società statale kazaca KazMunayGaz detengono partecipazioni, seppur in quota minore. Lo scorso anno si è arrivati a un accordo sulla costruzione di un nuovo impianto di trattamento del gas nei pressi del giacimento, con una capacità fino a quattro miliardi di metri cubi l’anno, ma al momento la pratica è sospesa.E questo è un bel problema: l’attacco ucraino ha infatti impedito a Orenburg, almeno fino a mercoledì mattina, quando le operazioni sono progressivamente riprese, di accogliere l’abituale ammontare di gas proveniente dal Kazakistan. Esponendo in questo modo tutte le fragilità di un sistema infrastrutturale che dall’Asia Centrale ancora deve passare principalmente dal territorio russo per raggiungere i mercati internazionali. Oltretutto, come abbiamo visto, per la prima volta la controffensiva di Kiev ha toccato direttamente gli interessi di società internazionali che operano nella regione. Rispetto alla situazione kazaca, un dato evidenzia con chiarezza i limiti geopolitici a cui Astana deve far fronte: l’80% delle esportazioni di idrocarburi da parte della repubblica centro asiatica passa infatti dal territorio russo e, oltretutto, da un’unica condotta, quella gestita dal Caspian Pipeline Consortium e che aggira il Mar Caspio per raggiungere poi il Mar Nero. Una fragilità, guardandola dal punto di vista kazaco; una leva di influenza, guardandola dalla prospettiva russa.Sempre sul fronte energetico, le ultime ore hanno portato con sé un’altra importante novità. I ministri dell’Energia dei paesi membri dell’Unione Europea hanno infatti raggiunto un accordo per arrivare al definitivo stop delle importazioni di gas dalla Russia entro il 1° gennaio 2028. La Federazione russa rappresenta attualmente il 12% delle importazioni di gas dell’UE, in calo rispetto al 45% del periodo precedente all’inizio dell’invasione dell’Ucraina nel 2022. Tra i paesi che ancora continuano a ricevere metano da parte di Mosca vi sono la Francia, il Belgio e l’Ungheria. Il controvalore complessivo delle importazioni attuali non è secondario, raggiungendo quota 15 miliardi di euro all’anno. Per arrivare all’intesa e superare le resistenze ungheresi e slovacche – il primo ministro di Bratislava Robert Fico ha parlato di “suicidio economico” – la mossa è stata proposta e portata avanti basandosi su quanto previsto dalla normativa giuridica commerciale e non da quella delle sanzioni, che avrebbe richiesto l’unanimità e non la maggioranza qualificata del 55% degli Stati membri che rappresentano almeno il 65% dei residenti dell’Ue, come invece è avvenuto. Questo a dimostrazione di quanto il terreno energetico sia scivoloso dal punto di vista geopolitico, sia sul fronte della produzione sia su quello dei paesi importatori di idrocarburi.L'articolo Kiev attacca l’impianto russo di Orenburg: ecco perché ha danneggiato anche il Kazakistan. L’arma a doppio taglio della dipendenza di Astana da Mosca proviene da Il Fatto Quotidiano.