L’approccio professionale, il rispetto per il lavoro, la qualità della vita. Sono tre le motivazioni principali che hanno convinto Salvatore Giordano a rimanere in Finlandia. Chirurgo plastico e professore, 44 anni, oggi vive e lavora a Turku, città di 200mila abitanti nel sud della Finlandia, dopo una laurea a Roma, sua terra d’origine. “Qui il lavoro del medico è valorizzato e l’organizzazione permette di concentrarsi davvero sul paziente. Nonostante i tagli, che ci sono anche qui, in ospedale si respira efficienza, collaborazione, e il benessere del paziente è davvero al centro”.Salvatore ha lasciato l’Italia quasi 20 anni fa, nel 2006, subito dopo l’abilitazione, non solo per la frustrazione legata alle difficoltà strutturali del sistema italiano, ma anche per gli aspetti legati alla meritocrazia e alle opportunità di crescita per un chirurgo. “Ero già stato in Finlandia da studente e l’esperienza mi aveva entusiasmato – ricorda nella sua intervista al fatto.it –. Anche se, a dirla tutta, ero un po’ preoccupato per la distanza e il clima”. Stessa preoccupazione per i genitori, che all’inizio non sono riusciti a nascondere una certa malinconia. Ma col tempo hanno capito che quella di Salvatore non era una fuga, ma la strada per crescere.In Finlandia Salvatore ha imparato col tempo a “godere della lentezza, della natura che qui è onnipresente, e di una qualità della vita fatta di cose semplici ma essenziali”. L’accoglienza è stata “sobria”, ma molto “corretta”. Nessun entusiasmo di facciata, ma grande rispetto per i ruoli e le competenze. All’inizio, le difficoltà sono state soprattutto linguistiche e culturali: adattarsi a ritmi diversi, a una comunicazione meno emotiva e più essenziale, richiede tempo.Una caratteristica importante della Finlandia è che, nel settore pubblico e accademico, “chi lavora ha nella maggior parte dei casi percorsi chiari, tempi definiti e valutazioni trasparenti – spiega Salvatore –. In Italia, da osservatore esterno, ho notato che si vive spesso in situazioni di incertezza prolungata, che rischiano di minare non solo la motivazione ma anche la qualità del lavoro”. La sua giornata comincia presto, tra riunioni, attività cliniche, sala operatoria, visite e momenti dedicati alla ricerca o all’insegnamento. Il lavoro si svolge “in un ambiente collaborativo, ben organizzato e programmato”, dove, soprattutto, il tempo è “rispettato” e il lavoro di squadra è “realmente valorizzato”. Insomma, a fine giornata non c’è l’idea di dover “recuperare il tempo sottratto alla vita privata”, e questo “fa una grande differenza”.Il costo della vita a Turku (e nella capitale, Helsinki) al momento è simile a quello dell’Italia, “a mio parere anche più economico rispetto a Roma e Milano”, bilanciato da stipendi proporzionati e da un sistema sociale molto efficiente. Dieci anni fa, aggiunge, la Finlandia era sicuramente più cara. A mancare non è solo il cibo, il clima (soprattutto la luce in inverno), la spontaneità dei rapporti umani. A mancare semmai, è l’arte, l’armonia, la bellezza che in Italia è parte del paesaggio. “In Finlandia si respira un’altra bellezza: silenziosa, austera. Ho imparato ad apprezzarla – continua – ma non cancella quella che porto nel cuore”.Durante l’intervista Salvatore confessa di partecipare, ogni tanto, a bandi di concorso per un posto in Italia, ma con scarso successo: “È possibile che la mia esperienza e i miei titoli non siano ancora sufficienti per una posizione nel sistema sanitario pubblico”. Restare, così, è diventata una scelta naturale, “nonostante il freddo, la lingua, la nostalgia”. In più, con la riforma dell’accesso a Medicina e la rimozione del numero chiuso secondo Salvatore “non essendoci le risorse per formare un numero illimitato di medici” si finirebbe solo per “posticipare una selezione che inevitabilmente si verifica più avanti”. Senza un numero programmato, questo è il suo ragionamento, si rischierebbe di alimentare “fenomeni di corruzione e nepotismo”, oltre a compromettere “la qualità della formazione dei medici, che sarebbero poi costretti a colmare lacune in fasi successive del loro percorso”.Tornare in Italia significherebbe conciliarsi con il desiderio di contribuire concretamente a un cambiamento, anche minimo, in un sistema che sente ancora suo per cultura, lingua, formazione. L’idea di poter riportare a casa l’esperienza, ormai lunga, maturata all’estero e metterla a disposizione è sempre presente, ma spesso si tratta di una spinta che si scontra con troppe fragilità strutturali: precarietà, mancanza di meritocrazia, carichi burocratici. “Mi capita spesso di sentire che in Italia la responsabilità è ancora legata più all’anzianità che alle competenze o ai risultati. Qui, invece, credo ci siano buone opportunità per crescere professionalmente in tempi rapidi e con un certo grado di autonomia. Cercare opportunità oltre i confini – conclude – a volte non è un modo per fuggire. Ma per crescere”.L'articolo Chirurgo in Finlandia: “Scappato dall’Italia subito dopo l’abilitazione. Qui il lavoro del medico è valorizzato” proviene da Il Fatto Quotidiano.