Una strana sensazione ci era piovuta addosso, un paio di edizioni fa, quando avevamo partecipato come d’abitudine a ROBOT Festival a Bologna. La classica sensazione che viene ai veterani – spesso per un misto di presunzione, pigrizia e superficialità – e che è riassumibile con “Non si vivono più le emozioni di una volta”, una cosa così. Rewind: le prime, primissima edizioni ROBOT erano state un’epifania improvvisa. Forse oggi si fa fatica a ricordarlo, ma era un momento quello in cui sembrava impossibile in Italia fare festival di musica elettronica di-qualità-ma-di-massa che non fosse Dissonanze, e ancora di più sembrava impossibile farlo a Bologna. Una Bologna che infatti ancora doveva riprendersi dalla chiusura del primo Link, quello “storico” e sfaccettato, sostituito da uno che era un contenitore più grosso e meno modulabile e quindi, inevitabilmente, più difficile da usare per la ricerca, per ciò che non fosse solo dj-set-grandi-numeri, e da quella di altri santuari storici degli anni ’90 lisergici, alternativi, partecipatissimi, trasversali.Che poi, manco esistevano i dj set grandi numeri, ad un certo punto, visto che li abbiamo citati: il grosso della scena elettronica in città e dintorni come stava messo in quel frangente storico? Stava che o aveva smesso di uscire accanitamente ogni weekend (i più intellettuali e navigati), o andava in club di medie dimensioni (le nuove generazioni di ventenni di allora), a costruire il nascente e poi crescente successo popolare della minimal. Si stava lì, in questo tipo di limbo, di situazione-ponte, col passaggio nel nuovo millennio. L’idea che una elettronica che non fosse prettamente da ballo potesse riprendersi il centro della scena e dei gusti delle persone, senza rinunciare a eventi da migliaia di persone, sembrava assurda, fuori portata: sembrava un voler rimettere in pista degli anni ’90 che, ehi, non erano più minimamente all’orizzonte, avevano vissuto, avevano dato, si erano bruciati. Sembrava fuori tempo massimo. O velleitario.Ma ROBOT fu un visionario atto di coraggio. SI misero le ancora in un posto di pregio come Palazzo Re Enzo – approfittando un po’ del fatto che in Comune avevano consapevolezza che nel decennio precedente un certo tipo di scena elettronica aveva avuto un’energia sociale incredibile – e poi piano piano si iniziò a crescere. Non doveva funzionare; invece, funzionò. Accidenti se funzionò. Ed è infatti grazie a ROBOT, proprio grazie a lui e al suo assurdo atto di coraggio ed imprenditorialità, se finalmente si è usciti dalla litania reducista e stantìa del “Ti ricordi il Link dietro la stazione, il TPO in Via Irnerio, il Livello in Via Stalingrado…”, che francamente ormai era un de profundis nemmeno commovente, tornando alla buon’ora a guardare con fiducia a presente e pure futuro.E questo fu il primo miracolo di ROBOT.Il secondo fu, e l’abbiamo raccontato tante volte, sopravvivere a quando si arrivò invece ad una crisi di crescita, con un festival che cresciuto costantemente anno dopo anno ad un certo punto pensò di poter diventare un gigante europeo, impostandosi di conseguenza, ma i risultati non furono all’altezza delle aspettative (…e, soprattutto, delle necessità: perché quando punti in alto, il rischio è che se a questo alto, anzi, altissimo non ci arrivi poi ti cadi e ti fai male, molto). Altri festival non si sarebbero ripresi, ROBOT invece col lavoro, con l’umiltà, con la competenza accumulata negli anni e con una sana dose di autocritica, sì.Sono anni infatti da allora ad oggi che ROBOT offre edizioni di assoluta, indiscutibile qualità. Sono anni che ROBOT non fa errori, e ha imparato ad essere sincero tanto con se stesso quanto con le istituzioni. Sono anni che ROBOT costruisce a Bologna, per un weekend all’anno e spesso con eventi-satellite notevoli sparsi nei mesi, la possibilità di non essere provincia, di essere eccellenza europea nel discorso della musica elettronica a 360 gradi, esattamente come lo era nei “magici” anni ’90, portando il vento della novità e della contemporaneità più raffinata ed essendo all’altezza del ruolo di hub culturale innovativo che negli ultimi anni troppo spesso da un lato continuava a darsi a parole – ehi, la città dell’Università più antica della galassia! – ma dall’altro ha parliamoci chiaro sacrificato in nome della voglia di arraffare il maggior guadagno possibile dal turismo mordi-e-fuggi. Turismo che ha invaso la città, arricchendo bottegai, ristoratori e proprietari di b’n’b, ma non il tessuto culturale e sociale di chi la città la abita davvero.Sono anni, insomma, che ROBOT è una cazzo di fortuna per Bologna.(Una visuale d’insieme di una delle location principali di ROBOT, il DumBO; continua sotto)Ecco: abbiamo avuto come l’impressione, l’ultima volta che ci siamo stati, che questa consapevolezza non è che non ci sia, quello magari no, ok, ma venga data dalla città e da un’ampia fascia di pubblico un po’, come dire?, per scontata. Come se fosse “normale” che ROBOT ci sia ogni anno; come se fosse “normale” che desse ogni volta una line up all’altezza di un Atonal o di un Unsound; come se fosse così “normale” averlo con sé da andarci, sì, per vedere com0è, ma senza più l’urgenza degli anni d’oro, senza la meravigliata curiosità che vedevamo negli occhi di molti, esperti e non esperti.Perché il pensiero oggi ormai è, soprattutto considerando che ROBOT ha abbastanza eletto a quartier generale dei propri eventi DumBO (un posto molto affascinante ma anche il classico posto che il Comune ha ristrutturato, ed è visto quindi come un “regalo” delle istituzioni di volta in volta all’assegnatario di turno), ecco, dicevamo, in tutto questo il pensiero è che ROBOT è bello, per carità, ma è in qualche modo consolidato ed aiutato a prescindere, ha una rendita di posizione, è diventato istituzione, serve a riempire la casella “festival di musica elettronica” così le amministrazioni si lavano la coscienza, “Visto? In città mica mancano le cose fighe, e voi lì a lamentarvi perché in centro si vende troppa mortadella e troppi cartocci di fritto…”.Una sensazione, quella del “consolidamento istituzionale” a base di continuità, acuita dal fatto che la linea artistica di ROBOT è da anni chiara e ben definita, la barra è tenuta sempre nella stessa direzione, senza particolari deviazioni, sorprese, colpi di scena, sfide, autoironie. Ricorrono certi nomi, quelli che non ricorrono comunque hanno avuto delle validazioni ben definite (da un certo tipo di pubblico, da certi tipi di festival), insomma, si va sempre sul sicuro.Il risultato? Ci sembra – ma è una critica che attenzione va diretta anche a Soundwall, che negli ultimi tempi un po’ di volte non ha dato a ROBOT il risalto che meritava – che non si capisca quanto ROBOT sia comunque prezioso e, soprattutto, non sia da dare per scontato – perché è un gioiellino di festival. Non ci sono altri festival in Italia in grado di unire così elettronica di ricerca e dancefloor, nicchie ed eventi da centinaia se non migliaia di persone, recupero di spazi cittadini sia medievali che industriali. Sì, c’è C2C, che è una potenza, che ha una rilevanza mondiale, che in questo tipo di campionato è indiscutibilmente il numero uno in Italia se si guarda alla line up, al profilo ed alla media revenue; ma se ROBOT magari non ha lo stesso peso “politico” presso gli artisti e i loro agenti, recupera lavorando molto bene con la città e i suoi spazi.Stavolta quindi non vi parleremo uno per uno dei nomi in line up, del perché andare a sentire questo e poi anche quello, di quanto quest’artista vi possa aprire le porte delle percezione e quanto quell’altro sia in grado di essere digitalmente carismatico, di quanto quel set sia un culto presso i critici ed addetti ai lavori più informati e quanto quell’altro sia un’esclusiva e sia site specific. Non perché tutto questo non sia importante e non sia di valore, no, ma perché vi chiediamo di farlo voi.Andatevelo a cercare, ROBOT edizione 2025.(O andatevelo a sentire in questa playlist; poi, continua sotto)Andatevelo cioè a studiare, andatevi a capire il perché di certe scelte (e il loro peso), andate ad apprezzare quanto studio ma anche quanto coraggio ci sia nel non mettere solo una parata di nomoni riempi-pista, ma anche quanto senso ci sia nel mantenere un rapporto forte con certi artisti, con certe scene (che a pochi saputi magari sembreranno “scontate”, ma per le persone normali sono sconosciute, e di sicuro possono offrire grande spessore artistico e performativo).Soprattutto: andate ad affollarne gli eventi. ROBOT sembra “normale”, ma perché ha reso “normale” per Bologna tenere una volta all’anno uno standard alto, molto molto alto. Tutto questo però non arriva per grazia divina (o delle istituzioni…) ma ha assolutamente bisogno del supporto delle persone, un supporto che sì, ha l’acquisto del biglietto d’ingresso o dell’abbonamento come denominatore comune minimo (o, anche guardate qui), ma in realtà si nutre anche e soprattutto di entusiasmo, supporto morale, di buzz, di sostegno di tutti gli operatori culturali e sociali in città.Anche quest’anno, ROBOT è un’eccellenza. Anche quest’anno è uno dei migliori festival di musica elettronica e di ricerca in Italia, anche quest’anno chi lo porta avanti ha fatto un ottimo lavoro.Pensate sia facile?No. Non lo è.Questo weekend, dal 9 all’11 ottobre, c’è più di un motivo per essere a zonzo nella città delle Due Torri. Possibilmente affamati. Ma per una volta non di cibo – bensì di stimoli e vibrazioni, come ai bei tempi.Biglietti, qui. The post ROBOT Festival, non diamolo per scontato (perché lo stiamo facendo) appeared first on Soundwall.