La notizia non è che i giornali non riportano la notizia, la notizia è che ci siamo. Finalmente, ci siamo.I giornali per i quali a Gaza non è in corso un genocidio ma una guerra – pensate: la prima guerra nella storia combattuta non da due eserciti ma da un solo! Un esercito dotato di carri armati e aviazione con i quali bombarda sistematicamente la popolazione civile e distrugge ogni ospedale, ogni casa, ogni chiesa, ogni scuola – quei giornali lì, quei telegiornali lì, raccontano che in Italia, nel giorno della più partecipata e diffusa manifestazione per la pace di un popolo oppresso di sempre, era invece in corso una guerriglia.I giornali che per mesi non hanno visto la violenza delle armi di Israele che crivellano di colpi i bambini, i vecchi, i medici, hanno aguzzato lo sguardo per scorgere, tra centinaia di migliaia di persone in piazza, le poche decine che hanno rovesciato una sedia, lanciato un sasso, in un paio di piazze su cento. Li hanno visti, denunciati, sbattuti in prima pagina a togliere la scena ai morti ammazzati a Gaza e in Cisgiordania, alla marea pacifica e indignata di persone, famiglie, insegnanti, preti che hanno letteralmente inondato le piazze di ogni città italiana rispondendo alla chiamata dei sindacati di base. Notizia, questa delle piazze italiane inondate dalle manifestazioni per la Palestina, che ha fatto il giro del mondo ma non dell’Italia.Con le consuete eccezioni (Il Fatto, Il Manifesto, Domani), il racconto rovesciato dei media mainstream è quello di qualche scalmanato descritto come una minaccia alla democrazia. Loro: non Israele che invade e bombarda una sfilza di stati sovrani, non gli Stati Uniti che sostengono e armano Israele, non gli altri governi – tipo il nostro – che non bloccano l’invio di esplosivi che mandano in pezzi i corpi di 20mila bambini.I giornali che non vedono il genocidio vedono “La guerriglia urbana dei propal” che hanno “spaccato tutto”. “La violenza”, “la furia”.Mi fa sorridere che tra i tanti scandalizzati da queste “violenze” che a loro dire cancellano completamente le nobili intenzioni di centinaia di migliaia – o, come dicono loro, decine di migliaia – di manifestanti ci siano i difensori delle radici cristiane. Dovrebbero aver letto che a rovesciare i tavoli per la giusta indignazione di fronte a uno scempio è Gesù, quando scaccia i mercanti dal tempio. “Ed, entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano e comperavano nel tempio. Rovesciò i tavoli dei cambiavalute e le sedie dei venditori di colombe e non permetteva che si portassero cose attraverso il tempio” (Marco 11, 15-15).Tralascio però qui la riflessione sul copione che si ripete identico da Genova – e da prima – nelle redazioni e nelle stanze dei bottoni: il favore che pochi – forse giustamente incazzati, forse infiltrati o tutte e due le cose – fanno al potere che vuole raccontare le cose in modo da delegittimare le proteste contro sé stesso. Sarebbe guardare il dito e non la luna, mettersi a fare il processo a quei pochi che difettano di strategia invece che farlo ai media che, dal 7 ottobre – e da prima – sono la scorta mediatica del genocidio: lo negano, lo minimizzano, lo geopiliticizzano, lo seppelliscono tra notizie di nessun rilievo.È un copione, lo conosco, lo conosciamo. Conoscendolo, mi rallegro del fatto che siamo – finalmente! – passati al secondo atto. Quello in cui il potere, non potendo ignorare la protesta né contenerla con le leggi speciali dei quali si è dotato per reprime il dissenso, si vede obbligato a delegittimarla.Siamo in troppi per essere ignorati. Il genocidio è un crimine troppo grande e ormai troppo manifesto per essere negato.Quanti? Hanno scritto decine di migliaia, ma se allo Stadio Olimpico entrano 70.634 persone, quante erano quelle che le immagini scattate dall’alto hanno immortalato in tutta Italia? Non stupisce che quelle prime pagine non le abbiano mostrate.Pensavo che bisognerebbe coniare una parola nuova per descrivere questo stato d’animo. Questo “Finalmente!”, “Mi sono sentito meno solo!”, “Sono commossa” dei tanti commenti alle foto di cortei oceanici. Questo collettivo sospiro di sollievo strozzato in gola perché privo di consolazione e di fiato, perché si resta angosciati e sgomenti per il genocidio che le piazze non riescono a fermare. Si resta frustrati, nonostante il conforto delle esserci in tanti, pensando che se la partecipazione, la democrazia, il giornalismo, i partiti non servono a fermare un genocidio allora non servono a niente.Dobbiamo trovargli un nome a questo sentire perché questo sentimento ammaccato, questo moto di gioia che va in pezzi nel secondo in cui la provi, come un’auto lanciata a tutta velocità e schiantata contro un muro, è la cosa più preziosa che abbiamo adesso. Lo abbiamo costruito insieme questo tormento che non si placa e che ieri si è trasformato in un’onda di indignazione collettiva. I più fortunati, le più fortunate, avevano già un luogo, un collettivo, un partito, un sindacato, una parrocchia. Gli altri, le altre, si sono a lungo guardati intorno smarriti, domandandosi come facesse il vicino, il barista, la collega ad andare avanti come se niente fosse. Ci siamo cercati, contati, uniti: i sanitari per Gaza, i docenti per Gaza, La Rete No Bavaglio, Venice For Peace, i cittadini in presidio permanente davanti Montecitorio, gli operatori dell’Informazione, i preti contro il genocidio (I preti contro il genocidio! Ce lo avessero detto qualche hanno fa! Non ci avremmo creduto: «In che senso?! Perché ci sono anche i preti a favore?!». E tutti, tutte, ieri eravamo in piazza, ciascuno a riversare lo sconcerto custodito in cuore per mesi in un unico grande moto di dolore e protesta.Ci siamo contati, ci hanno contato anche nelle stanze nei bottoni. Sanno che eravamo dieci volte tanti quelli che hanno stimato. Sanno che dovranno fare i conti con noi che non siamo noi: siamo quelli sotto le bombe. Siamo la loro voce. Questa voce abbiamo fatto sentire, faremo sentire ancora chiedendo al nostro governo di fare le molte cose che avrebbe potuto fare e non ha fatto. per salvare vite umane, per proteggere un popolo dalla pulizia etnica. Riconoscere la Palestina, sanzionare Israele, fermare l’invio di armi, smettere di piegare la testa a Trump. I media di proprietà dei miliardari continueranno a fare la loro parte. E noi, la nostra. Loro hanno i soldi, noi no. Noi abbiamo una cosa che i soldi non possono comprare. Noi abbiamo ragione.L'articolo Finalmente, ci siamo! Ma i soliti media vedono la guerriglia, non il genocidio proviene da Il Fatto Quotidiano.