Cori, urla, clacson e purtroppo anche vetrine che si infrangono e sirene, questo l’audio che ricorderemo delle numerose manifestazioni che hanno caratterizzato la giornata di ieri. Eppure la politica, storicamente, ha sempre scelto delle canzoni a supporto del messaggio. Per dire: brani di De Gregori come Viva l’Italia o Generale, da Craxi al PD fino alla Lega, sono stati letteralmente consumati. Veltroni nel 2008 utilizzò in campagna elettorale Mi fido di te di Jovanotti, che fu costretto a spiegare all’amico candidato che in realtà il pezzo parlava di una sconfitta, non era indicatissimo, e sappiamo come andò a finire. Romano Prodi invece si buttò su La Canzone Popolare di Fossati, mentre Pier Luigi Bersani in carriera scelse prima Inno di Gianna Nannini e poi Un senso di Vasco Rossi («…che un senso non ce l’ha», cosa che infatti scatenò non poca ilarità ai tempi). Tutte canzoni con un forte richiamo a valori anche politici, spesso forzati, alle volte meno, ma comunque firmate da autori di primissimo livello, voci che fanno la differenza come potenti opinion leader. Ma tutto ciò sembra essere sparito e forse il silenzio quasi assoluto di ieri lo certifica, come se il mondo della discografia italiana e la politica abbiano preso due strade che difficilmente finiscono poi per incontrarsi. Questo non vuol dire che i cantanti italiani sono rimasti impermeabili alla causa palestinese, anzi, Piero Pelù il 18 settembre ha organizzato un concerto a Firenze dal titolo SOS Palestina per raccogliere fondi per Medici senza frontiere, evento in cui si sono esibiti alcuni dei massimi esponenti del circuito indipendente italiano, dagli Afterhours alla Bandabardò, da Emma Nolde ai Fast Animals and Slow Kids, ma anche Roy Paci, Zen Circus e Tre Allegri Ragazzi Morti. Un successo, tant’è che è stata già annunciata una seconda edizione, il 20 giugno del 2026, magari sperando che nel frattempo la situazione si sia, se non risolta, perlomeno ammorbidita. Ma nessun politico di nessun partito era presente, Piero Pelù non li ha voluti, ha tenuto deliberatamente fuori la politica da una manifestazione musicale e umanitaria, ma anche evidentemente politica. Dall’altra parte, in barba a una lunga tradizione che unisce la politica, specialmente di sinistra, alla musica, una delle manifestazioni con la maggiore partecipazione popolare degli ultimi decenni, non aveva, per quanto evidentemente percettibile attraverso i racconti di giornali e tv, una colonna sonora.Musica e politicaIn effetti si tratta di dettagli, perché in Italia siamo ormai abituati a questa netta separazione. Un problema da imputare soprattutto alla discografia, che fa mancare la materia prima. I tempi dell’impegno politico nella musica, salvo rare eccezioni, che ci sono ma abitano tutte l’estrema provincia dell’impero musicale italiano, sembrerebbero finiti. Agli artisti, e ci riferiamo a quelli più importanti, e intendiamo proprio famosi, quelli che potrebbero fare la differenza con un brano, così come accadeva in passato, non importa più nulla esporsi politicamente con la propria musica, come se non sentissero più quella responsabilità. Nella stragrande maggioranza dei casi, quando chiediamo agli artisti più giovani e in hype riguardo la loro intenzione, nell’immediato o in futuro, di includere una posizione politica nei loro brani, ci viene risposto che la cosa, semplicemente, non interessa. Allora non è un caso che, a parte il classico Bella ciao, due le canzoni che, ci giunge notizia da testimoni sonori, si sono sentite echeggiare per le vie di Firenze e Roma: I cento passi dei Modena City Ramblers (formazione combat folk fondata nel 1991) e A bocca chiusa di Daniele Silvestri (57 anni), artisti di altra generazione, cresciuti (e con loro il loro pubblico) evidentemente convinti che la musica abbia il dovere di sostenere anche quella responsabilità di cui sopra, ormai sparita in maniera piuttosto preoccupante dal circuito mainstream. L’impegno politico, ed è successo in massa ieri, ormai si manifesta solo sui social, sbrigandosela con una storia o al massimo esponendo sul palco una bandiera palestinese. Ieri infatti tutti hanno ricondiviso sui propri canali immagini delle manifestazioni e messaggi dichiaratamente proPal e contro il governo Meloni. Il punto è che la politica, come tema, discograficamente parlando, non tira. Anzi, si tratta di un’esposizione che porta solo guai, un argomento che gli uffici stampa non a caso suggeriscono agli artisti di dribblare con prudenza. Non c’è bisogno di puntare il dito come se si trattasse di mancanza di coraggio, è semplicemente una questione di mercato, riflesso di quell’astensionismo folle che caratterizza ormai regolarmente le tornate elettorali. In pratica: al pubblico non frega niente della politica e la linfa vitale della musica è il pubblico.La sinistra e Bella ciaoL’unica canzone che ancora capita di ascoltare durante le manifestazioni politiche di piazza, di sinistra naturalmente, è Bella ciao, inno della resistenza partigiana, che ieri qualcuno ha intonato. Una canzone che però negli ultimi anni ha rischiato di rimanere totalmente depauperata del proprio significato. Un problema che riguarda soprattutto le nuove generazioni, che hanno conosciuto il brano quando i protagonisti de La casa di carta, la quinta serie più vista di sempre in tutto il mondo, la intonano durante la prima stagione per farsi coraggio mentre programmano una rapina alla zecca di stato spagnola. Un abbinamento piuttosto azzardato, per qualcuno, e non gli si può dare troppo torto, anche offensivo. Un successo che poi si è diramato in diverse, sempre mortificanti, versioni: Florent Hugel, un dj e produttore francese, ne ha fatto una hit, in Brasile MC MM e DJ RD si sono anche permessi di modificarne il testo per la loro versione discotecara, Steve Aoki ne ha fatto una versione salsa house e perfino i tifosi brasiliani, ai tempi dei mondiali in Russia, se ne sono appropriati per prendere in giro i cugini argentini.La destra non ha pezzi pop per le proprie manifestazioniLa sinistra può vantare perlomeno una splendente tradizione cantautorale, dall’altra parte la situazione in questo senso è drammatica. Non è un caso che Giorgia Meloni in campagna elettorale, probabilmente non sapendo dove pescare, abbia adottato Ma il cielo è sempre più blu e A mano a mano di Rino Gaetano, uno che con la destra conservatrice e nazionalista proposta da Fratelli d’Italia c’azzecca oggettivamente pochino, tanto che Anna Gaetano, la sorella del cantautore calabrese, ai tempi non la prese affatto bene, implorando di lasciare il fratello fuori dal dibattito politico. Per il resto gli artisti noti che si sono esposti politicamente a favore della premier, nonostante si contino sulla punta delle dita, ci sono: Povia, Enrico Ruggeri, Al Bano, Morgan, ma comunque nessuno di questi ha mai partorito brani a supporto dei valori portati avanti dalla destra. Per intenderci, a destra non esistono classici facilmente adottabili come La locomotiva di Francesco Guccini, La libertà di Giorgio Gaber, Povera patria di Franco Battiato, La guerra di Piero di Fabrizio De André. Negli anni ’70 infatti i giovani di destra durante le manifestazioni e i cortei del Movimento Sociale Italiano e del Fronte della Gioventù intonavano i pezzi di Leo Valeriano, non proprio uno che ha rivoluzionato il cantautorato italiano. Anzi, la storia ci dice che le composizioni “pop” che portano avanti tematiche di destra sono firmate da gruppi legati a certi scomodi estremismi e non sono mai emerse dal circuito underground.L'articolo Bella ciao è ovunque, ma il pop è sparito dalla politica e alla discografia va benissimo così proviene da Open.