Nell’indagine sulle plusvalenze della Juventus, ritenute fittizie dagli inquirenti e per cui il club e i suoi ex dirigenti, fra cui Andrea Agnelli e Pavel Nedved, hanno ottenuto un patteggiamento, i giudici hanno decretato per Maurizio Arrivabene, ex amministratore delegato dei bianconeri.Questa decisione, come riporta l’edizione odierna di Tuttosport, arriva dopo che i giudici constatano che le irregolarità riscontrate sono precedenti alla nomina di Arrivabene. Ma intanto, quella sportiva ha inflitto al dirigente italiano 16 mesi di inibizione.«Si tratta della fine di un incubo – ammette con un sospiro di sollievo Arrivabene –. Il riconoscimento della verità. Però non cancella quella sensazione provata ai tempi della condanna sportiva. La mattina dopo il processo, mia figlia tornava dall’estero, atterrata in Italia mi ha trovato sulle prime pagine di tutti i giornali, con la notizia della squalifica data come fosse la condanna di un criminale. Mi ha telefonato, scossa, e mi ha chiesto: “Papà, ma cosa è successo?”. E io non sapevo neanche come spiegargli la vicenda. Ecco, quella sensazione lì è stata brutta. Trattato come un criminale». Sulla giustizia sportiva: «Gli avvocati avevano spiegato bene che tutto quello contestato era prima del mio insediamento nella Juventus, nella memoria difensiva era tutto scritto e documentato. E lo hanno detto anche in aula. Posso pensare che non abbiamo scritto in modo chiaro o che abbiano parlato troppo piano in aula, magari non gli hanno sentiti. Chissà. Spiegazioni? No, da nessuno. Ma credo che loro siano ancora convinti di aver fatto la cosa giusta. Invece vorrei sottolineare quanto detto da Andrea Agnelli dopo il patteggiamento, che non è un’ammissione di colpa. Così come le dimissioni del Consiglio di Amministrazione: all’epoca ci dimettemmo per consentire alla società di difendersi meglio e con più agilità, non perché ammettevamo di essere colpevoli. Non tutti l’hanno capito all’epoca». La vicenda non è conclusa, visto che si attende il procedimento al Tar: «È in corso, quindi non ne parlo. Cosa rimane? Che non ci può essere una giustizia sportiva intoccabile rispetto alla giustizia dello Stato. Lo Stato ci deve essere negli stadi, nei campi da tennis, nelle piscine e in qualsiasi altra forma di sport. Ovviamente si possono fare delle deleghe, ma queste deleghe non significano dare il potere totale, assoluto e autonomo. Fare giustizia significa anche fare le cose giuste». Sulla Juventus: «Rimango tifoso, certo, mica si può cambiare casacca. Il calcio non è il mio unico amore, ne ho avuti tanti: i motori, il tennis, lo sci e anche il calcio. Da ragazzo andavo a giocare a pallone con la maglia della Juve. A Brescia! Capisce? A Brescia con la maglia della Juve. E non l’ho più tolta da allora. Per qualche mese non l’ho più seguita. Resto in contatto con molti giocatori, con Vlahovic, per esempio, ci mandiamo sempre dei messaggi. È un bravo ragazzo». «Mai avuto rimpianti di averlo acquistato dalla Fiorentina. L’abbiamo preso in un momento in cui aveva segnato una valanga di gol – ha continuato Arrivabene –. Non può essere scarso, non è scarso. Davvero! E i gol li ha sempre fatti. Forse ha pagato il fatto che la Fiorentina giocava per lui e la Juventus non ha mai potuto giocare per lui. Forse adesso se n’è accorto e ha cambiato un po’, mi sembra che giochi più sereno, più leggero. E sta andando bene. Quando ha fatto quel cross, contro il Borussia, quello per il gol di Kelly, sembrava dicesse: così vanno messe le palle in mezzo!». «Ci sentiamo, lo carico: gli dico quello che dicevo ai piloti della Ferrari. Piedi per terra e andare avanti. Altri con cui parlo? Mi scrivo con Bonucci e con altri giocatori – racconta l’ex Ad juventino –. Sono orgoglioso nel vedere che molti di quelli che abbiamo preso quell’anno siano ancora in squadra e facciano bene. Bremer, per esempio. È uno di pochissime parole, un po’ chiuso, ma fortissimo. E Locatelli! Ah, Locatelli… un gobbo vero. Uno juventino come ne ho conosciuti pochi, quando lo trattavamo con il Sassuolo lui non voleva sapere di nessuna altra squadra, voleva giocare con la Juve e basta». Rimpianti e ricordi: «Vedere con un’altra maglia molti dei nostri gioiellini della Next Gen. Soulé, per esempio, che sta facendo benissimo a Roma, che peccato non averlo tenuto. E anche Fagioli. C’erano tanti talenti, tra l’altro in un momento in cui i talenti sono pochi. Mi rimane il ricordo di un discorso di Rui Costa, dirigente del Benfica, al pranzo UEFA prima della partita di Lisbona. Diceva che i bambini vanno lasciati liberi di giocare, nei prati, nei parchi, senza allenatori, senza vincoli tattici. Solo così nascono e si coltivano i talenti. Invece, da noi ci sono allenatori fin dalle elementari. La trattativa Bremer con Cairo, una persona molto seria, mai incontrato uno così serio. Contratti stilati in modo professionale, nessun pizzino o foglietto. E lui, che ha trattato personalmente, si è letto tutto il contratto, clausola per clausola, naturalmente con piena coscienza di quello che leggeva. Ho un ricordo piacevole di quell’affare, al di là del calciatore che poi si è rivelato un campione».