Little Simz: gli ingredienti sono perfetti, ma…

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Premessa: chi scrive non è una fan all’ultimo stadio di Little Simz. Come molti, l’ho sostanzialmente scoperta con “Sometimes I Might Be Introvert” e i videoclip che ci proiettavano subito in un’immaginario di seconde/terze generazioni per noi, italiani in piena fase postpandemica, ancora misteriosamente esotiche, se si escludono i fenomeni da classifica. Il tocco magico di Inflo, i featuring fascinosissimi di Cleo Sol e Obongjayar, un Tiny Desk azzeccato e ultracool che culmina con il singolo “Point and Kill”: Simbi e Steve in outfit perfetti ondeggiano con la naturalezza che pochi possiedono, la band ha l’incedere di un puledro focoso ma sicuro, le parti vocali divergono quanto basta dal disco per restare nella memoria.(2021, un Tiny Desk di livello; continua sotto)Gli ingredienti sono perfetti, Little Simz vola tra un Mercury Prize e una serie Netflix, i cachet si gonfiano sempre di più – nota a margine per gli addetti ai lavori – per concerti in spazi sempre più grandi, sempre meno accessibili in termini di biglietto. Più o meno inconsapevolmente – sarà forse sesto senso – schivo per anni i suoi live finché mi ritrovo a segnare in agenda la data del 25 settembre all’Alcatraz di Milano. Due ricordi mi legano al club: Placebo, decisamente minorenne cerco di resistere in prima fila ma soccombo sotto il pogo; Bauhaus, impavida finisco per litigare con un tizio che mi aveva fatto il portafogli.Non abbiamo insomma un ottimo karma, io e l’Alcatraz, e sono consapevole di non aver approfondito a sufficienza gli ultimi passaggi del percorso artistico di Little Simz, ma sono pronta a godermi il concerto anche con una buona dose di ingenuità a cui non sono troppo abituata.Il live appare costruito a blocchi: un primo atto con full band, un breve passaggio con basi e rime, un intermezzo in cui Simbi si cimenta con la consolle, un secondo atto con la band e un epilogo più introverso – appunto – e introspettivo.Se volete sapere come va a finire, la parte più convincente è stata quella senza band. I brani sono ben scritti e ben suonati, in gran parte sono davvero delle belle tracce, ma l’esperienza live è molto circoscritta: i musicisti eseguono senza spostare virgole, Little Simz appella il pubblico, parla a cuore aperto, ma non buca la quarta parete. Io sono lì che ascolto, ma sono anche un po’ da un’altra parte; a tratti vengo attirata nella loro orbita, ma la forza non è sufficiente per rimanere agganciata.Quando rimane invece da sola sul palco, Simbi si gonfia di energia e riesce a riempire meglio la scena; forse anche perché il suono delle basi e delle tracce che passa lei stessa in consolle è più potente e rotondo di quello che esce dalle casse quando suona la band e sembra darle una spinta diversa, proiettata verso l’audience.Sempre convincente nel flow, Little Simz si avvale spesso di featuring per i ritornelli e le parti melodiche, come i già citati Obongjayar e Cleo Sol o Michael Kiwanuka. Come affrontare dal vivo la mancanza di guest? Una possibilità è affidare le loro parti vocali a coristi o coriste, magari agli stessi membri della band; un’altra soluzione è riarrangiare i brani in modo tale da rendersi autonoma nell’esecuzione, asciugando o rimodulando le parti altrui. Obongjayar ad esempio, sul palco di Jazz:Re:Found Festival 2025 non ha rinunciato a “Point and Kill”, ma l’ha ridotta all’osso lavorando sul solo ritornello, che si affilava come una lama sul giro di basso e sferrava il colpo insieme alla tromba. Una versione letale, quasi post-punk (te li ricordi i Basement 5?), che condensa tutte le rivendicazioni contemporanee nella pronuncia British-Nigerian del verso I DON’T FEAR NOBODY.Cosa fa invece Little Simz? Manda dei cori registrati e registrate sono pure le parti vocali dei featuring, per cui però non riprende le tracce originali, ma delle versioni alternative appena distinguibili. Comprendo che per l’orecchio di molti questa discrepanza tra dimensione live ed espedienti tecnici possa non suonare in modo strano, ma è stato forse il fattore che ha contribuito in modo più decisivo a non permettermi di entrare nel concerto. Come se l’elemento presente e organico degli esseri umani sul palco fosse sempre, in qualche modo, messo in discussione da un elemento artificiale che non era neppure valorizzato come tale, ma utilizzato come un dispositivo di finzione.(Meglio se i featuring sono in carne ed ossa; continua sotto)Molti hanno apprezzato i messaggi veicolati da Little Simz: coraggio pur nelle insicurezze, autodeterminazione, forza interiore. Io ho trovato leggermente out of tune rinunciare a qualsiasi messaggio esplicito sul genocidio palestinese, come se l’artista avesse sospeso momentaneamente la consapevolezza del “qui e ora” e si fosse ripiegata sul suo universo personale. Un “qui e ora” che, nello specifico, in quelle stesse giornate stava portando migliaia di persone in piazza in Italia, fuori da quelle mura.Nella discussione aperta sui social nei giorni a seguire, c’è chi ha confermato la mia esperienza, chi addirittura ha gridato al “pacco” e chi, invece, si è riconosciuto profondamente nelle liriche e nella sensibilità generale di Little Simz.Per quanto mi riguarda, non mi rammarico di non averla vista in passato e la archivio come un buon concerto di possibilità inespresse. E nel frattempo, controllo i calendari globali a caccia del prossimo live di Obongjayar.Nota di colore: la scenografia richiamava un fiore di loto dall’ultimo album “Lotus”; a me – e non solo a me – ha fatto pensare un po’ a una testa d’aglio, forse un esercizio di fantasia della mia mente per rendere più bizzarro e interessante l’insieme.Nota di colore numero due: anche Obongjayar era a Milano in quei giorni, ma alla Fashion Week per Versace SS26.The post Little Simz: gli ingredienti sono perfetti, ma… appeared first on Soundwall.