Il nome di Francesca Albanese nelle liste Ofac: cos’è il guinzaglio invisibile della finanza americana

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Francesca Albanese, giurista italiana e relatrice speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani nei territori palestinesi occupati, non riesce ad aprire un semplice conto corrente nel suo Paese. Nemmeno Banca Etica ha potuto accogliere la sua richiesta, come ha spiegato in Parlamento il direttore generale Nazzareno Gabrielli.Ed è proprio questo “nemmeno” a rendere la vicenda ancora più grave. Banca Etica non è solo una ragione sociale: è l’unico istituto di credito in Italia nato con la missione dichiarata di sostenere la finanza etica e solidale, finanziando progetti sociali, culturali e ambientali e rifiutando speculazioni e attività controverse. Se perfino una banca costruita sull’idea di inclusione e giustizia sociale è costretta a chiudere le porte, significa che il meccanismo che la blocca è più forte della sua stessa ragione d’essere.Il nome di Albanese compare nelle liste dell’OFAC, l’Office of Foreign Assets Control del Dipartimento del Tesoro statunitense. Queste liste nascono con l’obiettivo di colpire terroristi, narcotrafficanti e regimi autoritari. Chi vi compare si trova escluso dai circuiti finanziari e i suoi beni possono essere congelati. Ma il punto centrale è che queste liste, pur essendo espressione della politica estera americana, finiscono per condizionare l’intero sistema bancario mondiale.Le banche europee non hanno alcun obbligo formale di rispettarle. Se una banca, però, non tiene conto di queste liste, gli Stati Uniti possono punirla vietandole di usare il dollaro, tagliandola fuori dai pagamenti internazionali e imponendole multe enormi. Non è un rischio teorico: colossi come BNP Paribas hanno già pagato prezzi altissimi per aver violato le regole americane. Ecco perché anche gli istituti italiani, pur in assenza di un vincolo normativo comunitario, applicano automaticamente quelle liste. Il rischio di essere tagliati fuori dai pagamenti internazionali è semplicemente troppo alto.Il caso Albanese mostra però l’altra faccia di questo meccanismo. Uno strumento pensato per isolare criminalità e terrorismo si trasforma in un ostacolo per una funzionaria delle Nazioni Unite che esercita soltanto le armi del diritto e della parola. Una cittadina italiana non può aprire un conto corrente non per decisione di un tribunale italiano né per una legge europea ma per una scelta unilaterale compiuta a Washington. È un corto circuito democratico che dovrebbe allarmare.Sul piano teorico le liste OFAC sono utili perché rafforzano l’azione internazionale contro reti criminali e attività terroristiche. Nella pratica diventano però un laccio pericoloso. Estendono la giurisdizione americana al resto del mondo, cancellano il diritto alla difesa dei soggetti colpiti e, come in questo caso, si prestano a un uso politico che mette in discussione i principi stessi di sovranità, giustizia e libertà.La soluzione non è semplice ma alcune strade sono possibili. L’Unione Europea potrebbe dotarsi di un proprio sistema di liste autonome, con procedure trasparenti e diritto alla difesa per chi vi viene inserito. I singoli Stati potrebbero rafforzare gli strumenti di tutela dei propri cittadini, almeno nei casi in cui non vi sia alcuna condanna penale né indagine giudiziaria. Le stesse Nazioni Unite potrebbero rivendicare garanzie minime per i propri funzionari, che non possono essere ostacolati nello svolgimento del loro mandato.Il punto è che l’Unione Europea, pur avendo mezzi e risorse, resta debole e incapace di affermare un’autonomia reale. Questo caso rappresenta un segnale inequivocabile: di fronte al peso delle decisioni statunitensi, le istituzioni europee chinano il capo e accettano un’influenza che mette in discussione la sovranità dei propri cittadini.E qui un pizzico di ironia è inevitabile. La lobby bancaria che a Bruxelles e a Strasburgo si mostra muscolare, capace di ignorare cittadini, consumatori e persino governi, come mai poi si genuflette docilmente davanti al potere americano? Speriamo davvero che Banca Etica non appartenga a quella lobby, ma se perfino un istituto nato per difendere i valori della giustizia sociale è costretto a piegarsi, significa che il guinzaglio d’Oltreoceano stringe più di quanto immaginiamo. Forse non si tratta solo di paura delle sanzioni ma anche di conflitti di interesse che nessuno osa nominare.Non si tratta di mettere in discussione la lotta al terrorismo o alla criminalità organizzata. Si tratta piuttosto di impedire che uno strumento nato per proteggere la sicurezza internazionale diventi un’arma geopolitica capace di comprimere diritti fondamentali e di condizionare la libertà dei popoli. Senza queste correzioni il rischio è che il guinzaglio invisibile della finanza americana stringa sempre di più, fino a soffocare la nostra democrazia.L'articolo Il nome di Francesca Albanese nelle liste Ofac: cos’è il guinzaglio invisibile della finanza americana proviene da Il Fatto Quotidiano.